Questa coazione a tornare non si spiega facilmente: fuori stagione Bova è più che altro noia e delusione. Capita pure che piova e faccia freddo e sembra che con i bovesi contemporanei non si abbia granché da spartire…
Ciò fintantoché non incontriamo un vecchio conoscente, un amico o un’amica d’infanzia, un ex compagno di scuola… Allora il tempo scompare e ci pare di essere quelli di un tempo.
C’è un amico di mia sorella, un suo vecchio compagno di liceo, che ora fa il medico e il sindaco, che ogni volta che si incontrano è come se fossero ancora a scuola. Si mettono subito a passare in rassegna personaggi sempreverdi: Coppolino, l’improbabile insegnante di matematica e fisica con difetto di pronuncia, a cui tutti facevano il verso: “Professore, professore, ci faccia una ppecie di cchema alla lavagna”, Baseperaltezza, la ragazza a forma di rettangolo,
Chi se ne frega, mi verrebbe da dire: fatti loro, loro rimembranze, ognuno ha i ricordi che si merita. Il fatto è che immancabilmente il sindaco-dottore prima o poi arriva alla famosa gita di S. Elia di Palmi, organizzata dal loro liceo alla quale partecipai anch’io.
S. Elia di Palmi |
Che poi io quel ricordo l’avevo sepolto nei più oscuri meandri della memoria! Ma pare che lui abbia fatto il voto di riesumarlo, e con sadismo lo ripropone ogni volta che ci incontriamo, riattivando in me quella sensazione di imbarazzo e dissonanza tra la donna emancipata e pronta a partecipare al banchetto della vita che mi sentivo dentro e la ragazzina goffa, complessata e inadeguata che ero.
Il capitolo gite scolastiche è uno dei capisaldi dell’epopea familiare, perché a casa mia le vicende ad esse collegate solitamente prendevano gli accenti della tragedia greca.
A casa mia la parola gita-scolastica era un quasi-tabù, che si sommava ad altri termini ed espressioni impronunciabili del tipo: ragazzo/fidanzato, feste, andare a ballare, uscire con le amiche, andare alle giostre. Il tabù gita-scolastica era di rango inferiore ma foriero di facili complicazioni. Il copione era più o meno lo stesso: mia sorella Serena tornava a casa con la notizia che la sua scuola stava organizzando una gita. Non erano mai viaggi interplanetari, la meta raggiungeva al massimo una delle località turistiche della zona: Gambarie d’Aspromonte, Copanello, lo Zomero o, appunto, S. Elia di Palmi. Non più di tre/quattro ore di pullman.
Naturalmente per mia madre questa
notizia era già di per sé una pugnalata alla schiena, che dimostrava ancora una
volta la nostra ingratitudine filiale, il menefreghismo di mio padre, il
cattivo esempio che ci si passava da una sorella all’altra “Ania Catania e terra senza patruni” (mia mamma si esprimeva a
proverbi, questo era uno dei suoi preferiti che neanche noi abbiamo mai capito
esattamente che significa, ma che si potrebbe tradurre più o meno con “ognuno fa quel cazzo che gli pare” ).Seguiva una lunga trattativa che
coinvolgeva mio padre (dato che si doveva affrontare anche l’aspetto economico
della cosa) e un tira e molla a non finire. Si faceva ricorso anche al parere
di altri familiari che, se le trattative andavano a buon fine per noi, mia mamma
chiamava Giuda e Traditori. Pagando la quota di iscrizione, si
poteva accodare al gruppo qualche altro familiare e così di solito si aggregava
mia sorella Jole, un po’ più grande. Per legge le spettava, dato che non aveva
fatto le scuole superiori (cosa che fu a lungo un suo cruccio, finché non
riuscì a frequentare, anni dopo, una scuola per contabili a Reggio Calabria, che
le permise in seguito di impiegarsi a Milano in una grande azienda). Solo
quella volta di S. Elia ero riuscita ad andarci io, probabilmente Jole era a
Milano, in “vacanza” dai fratelli più grandi.
Solitamente dunque io rimanevo a
casa mentre Jole e Serena andavano in gita. Loro merenda al sacco con panino e
cotoletta e tante altre cose buone, io a casa a mangiarmi il fegato e sorbirmi
le paranoie di mia mamma. Sì perché era chiaro che mia mamma
avrebbe passato tutto il tempo a immaginare catastrofi e fin dal primo
pomeriggio si sarebbe appostata alla finestra a scrutare la strada, per vedere
se arrivava il pullman o comunque la cattiva notizia. Più o meno verso le quattro e mezza si
metteva di vedetta, e per ingannare
l’attesa mi mandava avanti e indietro ad eseguire ordini sempre più agitati a mano
a mano che passava il tempo. Quella volta della gita a Copanello il
pullman, sulla via del ritorno, si ruppe. Più di cinque ore di ritardo. Non
c’erano telefoni né usavamo piccioni viaggiatori e dunque mia madre fu sicura
dell’ineluttabile catastrofe e la sua reazione fu all’altezza delle
aspettative…
Andiamo per ordine. Erano le cinque e
mezzo e io avevo già fatto tre giri alla bottega a comprare il detersivo per i
piatti, cinquanta lire di citrato contro l’acidità di stomaco e mezzo chilo di
pane di grano (una cosa alla volta, naturalmente); due volte dalla vicina a
chiedere nonricordocosa e messo
sottosopra il primo cassetto del comò alla vana ricerca delle forbici. Se
cercavo di allontanarmi, anche con la scusa dei compiti, mia mamma mi chiamava
in continuazione, chiedendomi di fare questo o quello a casaccio. Penso che
forse già si immaginava le mie sorelle morte in fondo a un qualche burrone,
dietro a quella maledetta curva, e non voleva perdere anche me.
Mio padre al pomeriggio dormiva, e
anche quel giorno, svegliatosi e preso il caffè, se ne era uscito per andare in
sezione. Ulteriore elemento di frustrazione per mia madre, con le figlie
disperse e il marito che se ne andava come se niente fosse a giocare a dama.
Alle otto di sera, sempre appollaiata presso
il balcone, dietro le imposte accostate quel tanto che bastava a farle vedere
fuori senza essere vista, cominciò a battersi i pugni sul petto, all’uso
antico, a ritmo cadenzato e accompagnandosi con una cantilena sinistra in cui
piangeva le figlie morte, ribadiva il suo ruolo di Cassandra, affibbiava a
ciascuno la sua colpa e in particolare a mio padre che se ne stava in sezione a
giocare a dama come se niente fosse, mentre tutti i nodi venivano al pettine. Io ero là nei pressi, cercando di
scomparire per non darle altri spunti, colpevole com’ero col mio essere figlia. Naturalmente non volevo crederle e mi
dicevo che faceva sempre così, che come ogni volta alla fine ci sarebbe stata
una spiegazione logica, che tutto si sarebbe risolto, ma anch’io vivevo la sua
stessa angoscia. Quando finalmente rientrò mio padre
cercò di calmarla dicendole “vedrai che
ora arrivano”, che se fosse successo
qualcosa lo si sarebbe saputo e via dicendo, e con ciò esacerbandola ancora di
più. Nemmeno ci mettemmo a tavola quella
sera, mio padre si fece “apparecchiare” una sedia davanti alla televisione e
mangiò pane e salame, seguendo distrattamente i programmi, più per darsi un
contegno che altro mentre mia mamma non si mosse nemmeno dal balcone. Io
all’epoca ero inappetente e quindi forse sbocconcellai qualcosa forse no, ma
nessuno se ne accorse. La situazione era sempre più tesa, mia
madre stava per giungere al parossismo della sua crisi isterica, quella che di
solito culminava in una specie di crisi epilettica che la faceva diventare dura
come un legno e cadere a terra strabuzzando gli occhi. Con terrore me la
aspettavo da un momento all’altro, non riuscivo a immaginare altra via
d’uscita… Finalmente verso le undici e mezzo
vedemmo passare sulla nazionale un pullman, ma purtroppo mi sembrò diverso da
quello che avevo visto al mattino. Non dissi niente per guadagnare un po’ di
tempo. Ma fortunatamente dopo neanche dieci
minuti sentimmo uno scalpitio e qualche risatina su per le scale, ed ecco
ri-materializzate le gitanti. Fintamente contrite pur se pienamente
giustificate da motivi di ordine superiore ma fondamentalmente felici, con
ancora nel cuore e nelle orecchie le cantate a squarciagola del viaggio di
ritorno. Le odiai per quel loro divertimento malamente dissimulato, ma almeno l’agonia
era finita. Ci fu sollievo, certo, ma non ci
furono abbracci. Per mia madre la “scusa” che l’autobus si fosse rotto e
avessero dovuto aspettare che ne arrivasse un altro, non bastava certo a
cancellare quel tragico pomeriggio, né la colpa della loro ostinazione a
pretendere di partecipare a quella gita che se anche era finita bene, avrebbe
potuto essere fatale. Perciò che fosse ben chiaro per
quell’anno di altre gite non se ne parlava.
E io?Io ci andai appunto l’anno dopo, proprio a quella famosa gita di S. Elia di Palmi…
Quando ho quasi terminato di leggere questa festa tutto sommato di bei ricordi, sono arrivato alla tua domanda "E io?" ho rallentato volutamente la lettura della frase finale perché m'è venuto in mente che c'era la sorpresa. E infatti così è stato.
RispondiEliminaSì Nina, un desiderio forte di libertà malgrado le preoccupazioni della mamma.
Spero di averci azzeccato.
Un caro saluto,
aldo.
certo Aldo, c'era il desiderio di libertà e l'insofferenza per tante restrizioni. Ora c'è anche la comprensione e un po' di tenerezza.
EliminaCiao
Nina, che brutta cosa l'apprensione. Te lo dice una che, quando ha dei conviventi in automobile, 'trempila', ma solo in automobile.
RispondiEliminaSCRIVI dei racconti che PROVOCANO UNA GRAN GODURIA, MENTRE LI SI LEGGE.
cRISTIANA
Sai, dopo averla subita, anch'io la provo, come te soprattutto quando per i viaggi in automobile (e aereo).
EliminaCerco, memore dell'insofferenza che mi provocava mia madre, di tenerla per me, almeno fin quando ci riesco.
Grazie dell'apprezzamento, ciao!
C'ero anche io in quella casa,
RispondiEliminami c'hai fatto essere adesso
e ho vissuto gli isterismi di mamma,
la nostra, perchè m'hai dato anche quella.
Ciao.
Ciao Massimo, ci si intreccia e ci si incrocia con i nostri racconti: mi fa molto piacere. Ciao!
EliminaNina, come racconti tu le cose, pochi altri possono riuscirci. La tua ironia, nel ricordare questi fatti, anche se fanno rabbia di
RispondiEliminatante restrizioni ingiustificate, sanno contenere allo stesso tempo
una tenerezza, per quella madre sempre preoccupata, dai pensieri
forieri di disgrazie, che ha torturato le nostre fanciullezze.
Ti posso dire che io, che già viaggiavo per andare a scuola a Reggio, delle gite non ne parlavo neanche, anche per non pesare
nelle poche possibilità economiche. Tuttavia, come te ripenso
a quegli anni con nostalgia e comprensione per Melina, che con i suoi nove figli, ha tribulato sempre a torto o a ragione. Ciao
Ciao Teresa, come va? Meglio, ne sono sicura.
RispondiEliminaMi fa piacere che si colga, oltre l'ironia, un sorriso pieno di tenerezza e nostalgia per quella donna eccezionale che chiamiamo Melina.
Un abbraccio
Nina cara, leggere questo tuo spacco di una realtà vissuta, come figlia mi ha fatto sorridere.
RispondiEliminaMi son rivista io come mamma.
Ogni volta che i mei figli andavano in gita scolastica, ero felice per loro, ma il giorno della partenza era per me un giorno che già sapevo in anticipo che sarebbe stato un brutto giorno.
Come mamma non posso che essere solidale con la tua. Evidentemente, noi mamme ci somigliamo un pochetto tutte?
Come figlia, devo dire che sono stata più fortunata, nel senso che, mia madre non era molto apprensiva. La mia mamma era aperta alla vita e per i suoi tempi poteva sembrare anormale, ma solo ora mi rendo conto della sua grande apertura mentale.
La mia mamma avrebbe aspettato con tutta la calma e avrebbe detto le stesse parole di tuo padre- Le cattive notizie le porta il vento e se non c'è il vento corrono veloci- avrebbe aggiunto.
Il tuo raccontare, m'incanta, scrivi in una maniera tale che mentre leggo, ho l'impressione di vedere un film.
Le immagini, prepotentemente, si fondono alle parole.
So che se scrivi questi ricordi e per dare voce ad un passato che ti è caro, perchè nelle tue parole non si legge nessun astio ma quello che mi arriva è solo amore, per la tua vita e per i tuoi cari.
Del resto, Nina devi a loro quello che sei oggi. Noi figli dobbiamo tanto ai nostri genitori, non ha nessuna importanza, quelli che sono stati, è importante che attraverso i loro comportamenti ci hanno dato la spinta giusta per camminare nella vita.
Le loro tracce sono impresse dentro di noi, sono le fonfamenta che hanno retto e reggono la nostra vita, ancora oggi. Il tuo racconto lo dimostra.
Bellissimo quello che hai scritto, un po' di te è racchiuso tra queste parole, che leggendole con il cuore.
I tempi di allora erano così diversi da quelli di oggi, ma guardati con l'occhio di oggi, hanno dato i loro frutti e ogni tua parola, ha il sapore dell'amore.
Nina cara, noi apparteniamo ad una generazione di eroi.
Le nostre mani piene di nulla.. in questo nulla, abbiamo fatto fiorire la nostra vita e quella dei nostri figli.
( quest'ultimo pensiero non va a te ma a me)
Ti abbraccio. Buon primo maggio!
Ciao Ninetta
Carissima amica, quanto sono felice di potere di nuovo dialogare con te, che sei come sempre profonda e generosa.
EliminaUno splendido pensiero il tuo, nel quale mi ritrovo, perché anche per me quel nulla del possesso è la ricchezza dell'essere.
Ciao Rosy, un abbraccio forte.
Oltre il piacere che mi provoca il leggerti, è come osservare un quadro ben dipinto, con tutti i personaggi in prima fila, disegnati alla perfezione,con i loro vizi e le loro virtù e sullo sfondo il paesaggio giusto...
RispondiEliminaUn quadro , veramente Nina bella e la delusione quando arrivo alla fine , e anch'io avrei voluto che il famoso bus non arrivasse mai , così la lettura si sarebbe ancora protratta...
Alla prossima e scrivi più spesso , ti prego!
Un bacio grande!
Nella, mi gratifica molto che tu apprezzi il mio modo di scrivere. E mentre gonogolo mi dico che allora posso continuare. Grazie davvero!
EliminaDevi assolutamente continuare!
EliminaE' un ordine....
Obbedisco!
EliminaGrazie per questo tuo bellissimo post,mi piace molto come scrivi,tu mi catturi e io ne sono contento.
RispondiEliminaBuona serata cara Nina,un bacio.
Grazie caro Amico,sei sempre il benvenuto!
RispondiEliminaSarei felicissimo.
RispondiEliminaUn caro saluto e a presto,
aldo.
Cara sorellina, ho letto le bellissime parole che ti ha scritto Rosy, non sono riuscita a trovare il suo blog, se no le avrei scritto direttamente.
RispondiEliminaSpero che ti legga così posso dirle che mi è piaciuto molto quello che ha scritto e come l'ha scritto. Io sto meglio. Un bacio
ciao Terry, sono contenta che tu abbia colto che persona speciale che è Rosy. Le ho comunicato del tuo messaggio. Comunque se vuoi trovarla, il suo blog si chiama "in punta di piedi". Anche cliccando da qui sul nome dovrebbe farti arrivare da lei, provaci.
Eliminaciao e sono contenta che stai meglio
Sempre con questi tuoi ricordi ravvivi i miei..anche se un po' diversi. Un racconto che lascia amarezza in chi legge, nonostante gli anni trascorsi..Io partecipavo alle gite e le percepivo come una fuga, in effetti lo erano.Il tempo mi ha fatto dimenticare alcuni ricordi troppo laceranti, ma rivedo l'angoscia di mia madre..senza parole.
RispondiEliminaGrazie Nina.
Ti abbraccio.
Ciao Riri,
Eliminasappi che pensando adesso a quegli episodi di amarezza non ne rimane. Certo che allora era un'altra storia, ma la distanza addolcisce e smussa tutti gli spigoli.
Un abbraccio
Nina
Sempre felice di leggere i tuoi post,così ricchi di nostalgia,di tenerezza,di una ironia che sembra voglia fare da scudo alla crudezza dei tempi,più che alle limitazioni dei nostri genitori,che di quella crudezza dovevano tenerne conto.
RispondiEliminaCome Teresa,anch'io poche gite scolastiche,e spesso neanche quelle quasi vicino casa,fuori porta come diremmo oggi,con le più svariate giustificazioni.Ma siamo cresciuti ed ora possiamo ricordare,e giudicare con meno severità..
Sono stata a fare un nuovo pieno di ricordi come questi,facciamo mattino,quando siamo insieme fra fratelli,a raccontare e ricordare.E potremmo condividere tanti racconti :prima o poi lo faremo,complice l'estate bovese.
Un abbraccio-
Cara Chicchina mi fa piacere ritrovarti, mi mancavi.
RispondiEliminaGrazie come sempre della tua condivisione. Spero che ora che sei rientrata riprenderai a scrivere anche tu. Quelle radici che condividiamo, nel raccontarsi si stimolano a vicenda. Si diramano e si infittiscono alimentandosi dei reciproci ricordi.
Ciao e a presto
Nina, ho scritto a tua sorella e l'ho ringraziata e la ringrazio anche qui da te e ringrazio anche te.
RispondiEliminaNina, volevo dirti se questo tuo bellissimo ricordo posso postarlo nel "Cantastorie web. fammelo sapere. Se poi mi mandi la tua mail ti mando l'invito e puoi postarlo direttamente tu...fa come più ti aggrada.Abbraccio
Cara Rosy, ho visto i tuoi messaggi da Teresa e che ti ha risposto.
RispondiEliminaMi fa veramente piacere farvi conoscere a vicenda perché siete due persone speciali. Mi farà piacere se pubblichi il mio racconto. Fallo tu che sei più esperta di me. In ogni caso il mio indirizzo e mail è:
giovannalarizza@libero.it
Un abbraccio carissima, a presto e ... grazie
Cara Nina, lascio un messaggio per Rosy, ho cercato il suo blog
RispondiElimina"...in punta di piedi" e mi vengono scuole di Danza, oppure " Le mie parole" e trovo un cantante. Vorrei poter leggere qualcosa di suo, se gentilmente mi desse delle indicazioni precise. Ciao.
Splendido questo fiume di ricordi, al tempo stesso toccanti e divertenti. (Chi non ha mai avuto un Coppolino? Noi al liceo ne avevamo uno che pronunciava la y "iùpsilon")
RispondiEliminaPerdonami se l'ho letto con ben 20 giorni di imperdonabile ritardo. Ma ho un blogroll talmente affollato (devo ripromettermi di limarlo) che se non becco al volo le novità poi rischio di non vederle più, e col fatto che tu posti raramente (ma ogni volta è una perla!) è facile pensare, sbagliando, che da queste parti non c'è ancora niente di nuovo.
Un abbraccio grande, amica mia!!
Caro Nick, mi hai fatta felice con la tua presenza.
RispondiEliminaE' vero, non sono molto assidua, a causa del tempo che devo dedicare a tante altre cose (di cui alcune assurde e inutili come venire al lavoro tutti i giorni) e anche perché quando scrivo un racconto, prima di proporlo sul blog ce ne vuole...
In ogni caso il tuo apprezzamento mi gratifica e mi incoraggia.
Grazie!
Sempre ottimi ricordi nei tuoi post.
RispondiEliminaTi auguro una serena giornata.
Ciao Nina, grato per il tuo gentile commento.
RispondiEliminaUn caro saluto,
aldo.
ps. decisione per sabato 1°giugno?
Ciao Nina.
RispondiEliminaQuesto tuo racconto un po' in stile (ma si tratta di stile originale)... defilippesco mi ha divertito molto e nello stesso tempo mi ha ricordato qualcosa.
Per es. l'ansia che c'era anche da me, non solo in occasione di gite o escursioni, ma anche in occasione di semplici "pizzate" o uscite con gli amici seguite da banalissimi, direi trascurabili ritardi.
Infatti, per mia madre un semplice ritardo era più che sufficiente per giustificare telefonate in ospedale.
Ma se lo avesse avuto, forse avrebbe chiamato anche il numero dell'obitorio!
Scherzi "più o meno" a parte, io quell'ansia non l'ho mai capita. Mai.
Temo però che si tratti di un modo magari involontario ma non per questo meno sottile e devastante, per opprimerli, i poveri figli!
Ciao e buon fine settimana.
Ciao Riccardo, benvenuto: grazie di esserti divertito a leggere di quelle lontane disavventure che sono per me solo un pretesto per sorridere ed evocare figure ormai mitiche. Con un po' di nostalgia.
RispondiEliminaDevo confessare che a mia volta sono un po' ansiosa anch'io ma - memore dell'oppressione subita - cerco di dissimularla e tenerla per me.
P.S. l'accostamento defilippesco mi garba alquanto dato che sono una grande estimatrice e frequentatrice defilippica.
Ciao!
Cara Nina sono felice per te che vai a Roma per incontrarti con tanti amici del blog. Salutami Aldo che ci sarà di sicuro e tutti
RispondiEliminagli altri che conosco e che non conosco. Buon Incontro!
ciao Teresa, spero di andarci, non è così facile come sembrava. Tra un po' vado in stazione a vedere se troviamo un treno utile. Ti dirò
EliminaScrivi agile e veloce, senza fronzoli: mi hai fatto divertire e ripensare a certi incontri dopo anni e anni con gli antichi compagni di classe. Ti abbracci e ti pare di tornare indietro di decenni, ma le rughe non le vedi e l'assenza di capelli nemmeno.
RispondiEliminaAvevo un buon amico, un po' spaccone di Scilla. Si chiamava Massimo M. era il figlio del medico condotto. Andammo a trovarlo a Scilla io e un paio di altri amici, tra cui quello che era la vittima preferita dei suoi scherzi feroci. Massimo sapeva benissimo che il farmacista del paese era anzianotto, geloso fradicio della sua nuova moglie giovane e bellissima.
La sua vittima sacrificale preferita aveva un taglio di capelli micidiale, coi capelli che rimanevano dritti in testa come va di moda oggi, ma non allora.
"Ti ci devi mettere un po di ogghiu brigghiu"
"E che è?" fa il tapino.
"Olio di briglio"
"E dove si compra?"
"In farmacia, ma devi gridare ché la farmacista è un po sorda"
"E come le dico?"
"Mi dia una bottiglia di olio di briglio"
"E lei me la dà?"
"Sta lì per quello"
A quell'ora del pomeriggio il farmacista stava nel retro bottega a preparare unguenti per le bestie.
Il poveraccio entrò pimpante nella farmacia...per uscirne sparato due minuti dopo inseguito dal farmacista.
Ci urlò contro un "Figli di grandissssime putttaneeeee!!!!!"
scomparendo dietro l'angolo.
Mi hai fatto tornare alla memoria sta cosa carina. Grazie.
Vincenzo benvenuto!
RispondiEliminaVeramente divertente il tuo ricordo, che a sua volta ne sveglia altri di miei che per ora tengo in calda, poi si vedrà.
Al liceo, che feci a Reggio, avevo una compagna di classe che veniva da Scilla. Ricordo solo il cognome: Zito. Era una ragazza un po' strana, non bella ma per me ricca di fascino. Chissà com'è ora...
Come sempre il tuo modo di scrivere mi cattura,buona serata.
RispondiEliminaGrazie amico Achab!
RispondiEliminaAnche a te buona serata
Ciao Nina, grazie.
RispondiEliminaUn caro saluto,
aldo.
Passo per augurarti un sereno week end.
RispondiEliminaIncanti quando scrivi! Un caro saluto dall'isola.
RispondiEliminacos'è sta novità?
RispondiEliminaMa ti piace o no?
RispondiEliminaHo cambiato per facilitare la lettura