Me l'ha fatta venire in mente stamattina un amico blogger, anch'egli poeta.
Così l'ho cercata su internet e la posto, questa poesia per me splendida
(e che mi ricorda momenti ruggenti dei tempi dell'università)
augurando a tutti noi simili incontri!
Aggiungo i miei saluti prima di partire per le vacanze,
CIAOOOOOOOOOOO
À une passante
La rue assourdissante autour de moi hurlait.
Longue, mince, en grand deuil, douleur majestueuse,
Une femme passa, d’une main fastueuse
Soulevant, balançant le feston et l’ourlet ;
Agile et noble, avec sa jambe de statue.
Moi, je buvais, crispé comme un extravagant,
Dans son œil, ciel livide où germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
Un éclair… puis la nuit ! – Fugitive beauté
Dont le regard m’a fait soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que dans l’éternité ?
Ailleurs, bien loin d’ici ! trop tard ! jamais peut-être !
Car j’ignore où tu fuis, tu ne sais où je vais,
O toi que j’eusse aimée, ô toi qui le savais !
A una passante
La strada rintronante sbraitava intorno a me.
Alta, sottile, in lutto, dolore maestoso,
una donna passò, con la mano solenne
sollevando e reggendo l’orlo del suo vestito.
Nobile e svelta, con le sue gambe statuarie.
Io succhiavo, contratto come uno stravagante,
dentro i suoi occhi, cielo che cova un uragano,
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.
Un lampo… e poi la notte! Bellezza fuggitiva,
il cui sguardo mi ha fatto rinascere di colpo,
non ti rivedrò più fino all’eternitá?
Lontano, via di qui! E troppo tardi, o mai!
Dove fuggi, non so; tu non sai dove vado.
Ma avrei potuto amarti e tu, tu lo sapevi!
venerdì 26 luglio 2013
domenica 21 luglio 2013
Disavventure di un "rompi-scatole"
Posto, con il suo consenso, la mail ricevuta ieri da uno dei miei nipoti francesi, Dominique, che a mio parere è un perfetto monologo di cabaret. Penso che più di uno di noi si riconoscerà nelle situazioni descritte. Io l'ho trovato veramente divertente, non so voi...
"Al giorno d'oggi, con tutte le organizzazioni, enti e comitati di difesa del consumatore, non capisco perché c'è ancora una categoria di professionisti che sfuggono a qualsiasi critica e continuano indisturbati a rovinarci la vita.
Parlo logicamente dei produttori di imballaggi di ogni tipo.
Prendiamo per esempio una scatola di formaggini
Bisogna prima tirare un filo per aprire la scatola in 2. Massimo dopo 3 cm, il filo si spezza oppure devìa verso una destinazione sbagliata.
Dopo aver aperto con un coltello la" #@]~ " scatola e preso un formaggino, sorge la seconda prova, quella del nastrino rosso che dovrebbe in uno strappo dare alla luce il contenuto e aprire la carta argentata come per magia. Sistematicamente ti ritrovi impiastrato di formaggino che mangi con tutta la carta (e nastrino rosso) che poi sputacchi.
Altra categoria, le barchette di insaccati, con un cellofan trasparente che in un angolo dovrebbe scollarsi facilmente (come detto nella scritta "apertura facile") ma che neanche con un pinza si stacca di un millimetro.
Bisogna prima tirare un filo per aprire la scatola in 2. Massimo dopo 3 cm, il filo si spezza oppure devìa verso una destinazione sbagliata.
Dopo aver aperto con un coltello la" #@]~ " scatola e preso un formaggino, sorge la seconda prova, quella del nastrino rosso che dovrebbe in uno strappo dare alla luce il contenuto e aprire la carta argentata come per magia. Sistematicamente ti ritrovi impiastrato di formaggino che mangi con tutta la carta (e nastrino rosso) che poi sputacchi.
Questo nastrino rosso o trasparente ( non so perché non ci sono altri colori) è diffusissimo: sigarette, pacchi di buste, chewing-gum, e altri mille oggetti. Non funziona MAI.
Generalmente, dopo qualche minuto di nervosismo crescente, soprattutto dato che c'è sempre qualcuno che ti dice " dallo a me, che lo faccio io" finisce con lo sventramento a coltellate della dannata plastica.
Abbiamo poi i pacchi con chiusura ermetica dopo apertura (tipo formaggio grattugiato) che, visto che già non riesci ad aprirli, non parliamone di richiuderli.
Il più delle volte il poco di formaggio che sei riuscito a recuperare sul tavolo, o per terra per i più maldestri, lo rimetti nel mezzo sacchetto che ti è rimasto in mano e lo chiudi con un elastico o una molletta.
Per finire dirò qualche parola sulle confezioni tipo "Blister" di oggetti per lo più metallici, come spillatrici, perforatrici, ma anche lampadine, e tanti altri oggetti.
Qui il problema è la durezza allucinante della confezione: dopo esseti spezzato le mani per dimostrare che sei un uomo forte, e dopo aver utilizzato una chiave, per non far a vedere che non ce la fai, ti risolvi a trovare un coltello, ma qui la plastica si piega e se non c'è un aiuto devi sbrogliarti con i denti, a tenere teso il bordo per poter tagliare quella ##@#@ dannata plastica. Se non finisci con un labbro di coniglio sei fortunato. Oppure, se sei fortunato e ordinato, utilizzi la forbice. Non ti dico lo stress quando compri una forbice sotto Blister.
Dal fronte
Mike"
P.S. Un altra volta parleremo dei sacchetti in amido biodegradabili che si squagliano sotto la pioggia...
giovedì 11 luglio 2013
L'AFRICA PER ME
veduta dal nostro cortile |
Veramente Alessandra, una di noi cinque , cercava di darsi un tono attribuendosi la patente di viaggiatrice, per non dire esploratrice o studiosa antropologa e continuava a ripetere che lei non era una turista. Sarà...
Avevamo affittato una casetta sulla riva dell’oceano e facevamo la spesa e ci preparavamo da mangiare su una cucinetta a gas non proprio avveniristica e per quei 22 giorni che durò la nostra vacanza ci illudemmo di fare la stessa vita degli abitanti.
mia sorella Jole ai fornelli |
Vero è anche che Bruna - la nostra capo-branco - aveva vissuto in Senegal per ben sei anni e si era anche sposata con un senegalese (dal quale aveva prontamente divorziato) e contrattava e litigava al mercato come una del posto, mentre noi che eravamo alla prima esperienza d’Africa eravamo inizialmente pervase da un buonismo appiccicoso che ben presto (almeno a me) risultò emanare un tanfo di paternalismo di cui cercai di liberarmi, non sapendo però bene quale fosse la strada meno accidentata.
Dunque dicevo quella casetta… al nostro arrivo, che avvenne di notte, mi sembrò una catapecchia insidiata dagli insetti nella quale non avrei mai e poi mai potuto chiudere occhio. Mia sorella Jole fece una mezza tragedia dicendo che lei là non ci dormiva e che voleva andare in un albergo. Mia sorella Serena, che aveva già avuto una crisi prima della partenza e voleva rinunciare al viaggio: troppo lontano, troppi pericoli, troppi scarafaggi… continuava a dire “chi me l’ha fatto fare, se volevo stare in una casa diroccata non bastava S. Pasquale?”
Sarà stato per contenere le loro ansie che non diedi sfogo alla mia e così quella prima notte le convinsi a pazientare, che domani avremmo visto. E così dormimmo tutte e tre nello stesso letto, costituito da un rialzo di cemento su cui c’era un materasso di spugna, vestite sia per il freddo che per evitare contaminazioni. Da notare che io, attenendomi ai racconti sul clima africano di Bruna, di quando diceva che passava le giornate sulla sdraio con un ventilatore davanti e uno dietro, non mi ero portata neanche il pigiama “cosa vuoi che mi serva un pigiama, con quel caldo che ti investe come un getto d’aria calda appena esci dall’aereo?” e invece, sarà stato che era fine gennaio, quella notte faceva un freddo vero e proprio.
Così per tutte le vacanze dormii vestita, con una maglia e i pantaloni più larghi che avevo.
L’indomani mattina, come ci alzammo e dalla porta finestra che dava sulla spiaggia guardammo fuori, tutto era cambiato: subito giù dagli scalini del cortiletto sul retro, si distendeva una spiaggia infinita di sabbia dorata e finissima sulla quale alcuni bronzi di Riace si allenavano correndo o facendo flessioni. Proprio di fronte a noi, l’onda dell’oceano batteva delicata su una bassa scogliera nella quale in seguito saremmo andate a caccia di granchi, il sole splendeva rendendo scintillante il panorama e i nostri cuori.
Dopo una radicale pulizia di fondo, anche la nostra casetta aveva perso l’aria desolata della notte prima e aveva acquistato dignità. (L’anno dopo, quando tornammo, riuscimmo a riaffittarla e mi commossi fino alle lacrime: già allora cominciava ad attecchire in me quell’affezionarsi ai luoghi tipico dell’età senile che avrebbe poi fatto ampio sfoggio in seguito al mio ultimo trasloco).
Ci ridistribuimmo le stanze (io ne presi una da sola che condivisi per tutta la vacanza con un ragno menefreghista che se ne stette tutto il tempo nei pressi del soffitto, senza mai darmi confidenza) ci organizzammo con le nostre cose e quello spazio disadorno diventò casa nostra, col suo bel cortile sulla spiaggia, con la doccia all’aperto e con dietro la minuscola stanzetta del guardiano (incredibile, tutte le case affittate ai turisti avevano annesso un abitacolo con guardiano compreso nel prezzo!)
donne che passavano offrendo i loro prodotti |
La regina bianca in gran Bubù alla festa dei bambini |
continua (forse)...
lunedì 1 luglio 2013
In dieta!
Salì sulla bilancia ed aveva perso il primo
chilo.
Un momento di felicità vera, anche se può
sembrare poca cosa un chilo, di fronte all’eternità dei suoi ottantaquattro e
mezzo: circa centosessantotto libbre di peso corporeo (quasi tutta massa grassa
perché la povera struttura ossea era davvero poco rappresentativa e di muscoli
neanche l’ombra).
Dopo una settimana aveva perso il secondo
chilo: in marcia! Ottantatre chili e mezzo di ottimismo. Cosa sono i sacrifici
di fronte a una giusta causa?
« Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente… »*
Erano mesi che non osava pesarsi. L’averlo
fatto la settimana prima era stato catartico: dopo lo choc iniziale era giunta
la consapevolezza. Un pomeriggio forsennato. Frigo: via tutto! Apri tutti gli
sportelli della dispensa e fai una bella pulizia che è meglio: gelati,
cioccolatini, patatine, hamburger, ravioli cinesi, gamberetti in tempura…
Basta, via, tutto nella spazzatura, è tutta roba marcia! (che venga dalla
Danimarca?)
Terza settimana: meno mezzo chilo. Una
leggera delusione. L’eurostar è stato
declassato a espresso. Del resto
meglio così, ottantatre, conto tondo.
Il quarto chilo è costato un po’ di fatica:
ben nove giorni per raggiungerlo. D’altronde c’è stata di mezzo quella cena
senegalese che da tempo aveva promesso ai suoi amici. Hai un bel dire tu, ma
cucina quel meraviglioso tiébou dien© e poi che fai, lo lasci sbafare solo agli altri?
Ma una piccola ricaduta non demoralizza mai
un vero combattente che, come Muzio
Scevola, se ha sbagliato si autopunirà... Beh, con la mano si andava meglio,
con la pancia la vedo un po’ più dura. E poi, al giorno d’oggi, dove lo trovi
un braciere?
Al sesto chilo l’euforia riprende il volo.
Adesso è anche più facile resistere ai richiami del frigorifero. Lo stomaco è
più ubbidiente, il palato si adegua.
Si fa strada una sorta di sana diffidenza
verso quei cibi assurdi di una volta.
Non parliamone più di pasta, spaghetti al ragù, pasticcio, riso, risotto,
risotto allo zafferano, risotto con la salciccia, risotto con i funghi, risotto
con i fegatini, fegatelli, animelle, mortadella, mortadella tagliata a pezzi
grossi, camembert… Non ci pensiamo più. Addio belli, lasciamoci così senza rancor… Ora si mangia sano! Ora anche lo
yogourt magro non è poi così schifoso. C’è del buono nei fiocchi di latte, una
bella ciotola di pappetta bianchiccia e tremula… e così sia.
Al decimo chilo un successone. Riesce ad
infilare nuovamente i jeans di cinque anni prima. Siamo ancora alla taglia 48,
sono ancora un po’ fascianti, ma vuoi mettere?
Intanto, mentre il corpo sta cambiando,
parrebbe che anche la mente si adegui, elabori il nuovo. Più centrata nel
camminare, più concentrata nel parlare, con una strana propensione per gli
elenchi.
Mentre prima li evitava, ora ha un’intensa
attrazione per gli specchi. Anche per strada, difficile non buttare uno sguardo di sfuggita, con finta
indifferenza, alle vetrine. Che brivido intravvedere quella sagoma in movimento
che, accidenti, è proprio la sua!
E la voglia irrefrenabile di pesarsi? Non
più una volta alla settimana ma ogni giorno, anche più volte al giorno, anche
in quei giorni…
Al quindicesimo chilo in meno è veramente
un’altra persona: sessantanove chili e mezzo. Ma ci pensate? Ora le vetrine,
oltre che specchi occasionali, richiamano la sua attenzione sui prodotti
esposti. Gli abiti alla moda non sono ancora tutti alla sua portata, ma già
cominciano a fare occhiolino certe camiciole dai teneri quadratini, jeans
sfilacciati, gonne rifiorite. E tutti quei pizzi sfarfaleggianti di mutande e
reggiseno. Col prossimo stipendio si colpirà, e si colpirà duro. Augh!
Gli amici sono tutti più cari, il sole è più
caldo e il mare è meno inquinato, le vacanze sono più promettenti, le commesse
sono gentili e non sfoggiano più quel ghigno di scettica commiserazione di
quando osava entrare per provarsi qualche cosa.
Al sedicesimo chilo in meno si apprezza
veramente, ma veramente di gusto, anche il minestrone con dentro il peperone.
Peperone bollito in definitiva! Chi l’avrebbe detto?!
E pensare che era una patita dei peperoni
ripieni. Peperoni imbottiti, peperoni arrostiti, peperoni alla sciué-sciué,
peperoni fritti, pomodori fritti (verdi?), patate fritte, patate alla
provenzale, patate douchesse, tortino di patate, spaghetti al ragù, pasticcio, risotto,
risotto allo zafferano, risotto con la salsiccia, risotto con i funghi, risotto
con i fegatini, fegatelli, animelle, spaghetti all’amatriciana, mortadella,
mortadellona, mortadella tagliata a pezzettoni, gamberetti, camembert…
Di
nuovo? No, no! Non ricominciamo, basta! HO DETTO BASTA!!
Come
hai detto? Pasta?
Pasta,
pasta al forno, pastasciutta, pastina in brodo, riso, risotto, risotto allo
zafferano risotto con la salsiccia, risotto con i funghi, risotto con i
fegatini, sofficini, animelle, fegatelli AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
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