domenica 25 novembre 2012

A presto!

Un saluto a tutti gli amici: scusate la mia forzata assenza, dovuta a motivi tecnici (sono momentaneamente rimasta senza valido computer)
Tornerò appena possibile a intrecciare le mie parole con le vostre.
con affetto
Nina

domenica 4 novembre 2012

Quel giorno niente giochi e niente merenda.

     Anche quel pomeriggio, obbedendo alla forza centrifuga che ci obbligava (me e le mie sorelle) ad allontanarci il più possibile dalla sfera di influenza di mia madre, mi preparai la merenda e mi precipitai per le scale decisa a raggiungere le altre bambine che due traverse più in là stavano giocando a “Cummari cummari aviti piseddi?” (era un gioco insulso che non vale la pena di stare a descrivere, per noi era principalmente una scusa per stare fuori).

     Scendevo saltellando per le scale pronta a tuffarmi nell'agone sportivo, pregustando il sapore del mio pane col pomodoro (e origano e peperoncino e olio d’oliva…) nonché quello dell’effimera libertà.
Purtroppo, forze contrapposte si fronteggiarono fin dal primo balzo e fecero cadere il primo pezzo di pomodoro.
     Fu un piccolo dispiacere, che in ogni caso non fece arrestare la mia corsa: pazienza, mi dissi con un sospiro, me ne resta ancora mezzo (naturalmente non mi sfiorò neanche l’idea di fermarmi a pulire, a quei tempi non eravamo tanto schizzinosi per la pulizia delle scale).
Continuo la cavalcata: altri due zompi e mi cade anche il secondo pezzo di pomodoro.
A quel punto mi fermai delusa: senza il companatico la merenda perdeva tutta la sua attrattiva.
Che fare?
     Piccolo consiglio di guerra tra me e me e decisione rivoluzionaria: l’avrei recuperato!
Così tornai indietro e raccolsi anche l’altro caduto, di modo che anche l’aspetto delle scale se ne giovò a mia insaputa…
     Raccolti i due mezzi pomodori, che risultavano appesantiti da un terriccio indistinto in cui si poteva intuire una parte di sabbia nonché pezzettini di intonaco biancastri, mi sedetti sullo scalino esterno e cominciai a ripulirli con ancora un po’ di dispiacere ma con amorevole pazienza.
Già avevo superato lo choc iniziale e risistemavo il tutto sulla fetta di pane con cura e professionalità. La merenda era come nuova, l'acquolina riprendeva a dilagare in bocca, mentre mi concentravo nel posizionare le dita della mano destra in modo tale da impedire ulteriori tentativi di fuga. Quasi finito…
     Di colpo mi sentii invasa da una sensazione spiacevole. Che poteva essere? Non certo il senso di schifo (a quel tempo, se non si fosse capito, non eravamo tanto schizzinosi). Veniva dalla strada, mi sentivo come con un faro puntato addosso…
Intuivo che era meglio non farlo ma, attratta come da una calamita, fui costretta ad alzare gli occhi fino a incrociare lo sguardo sprezzante della signora Coppolino, quella che già ci guardava dall’alto in basso.
     Quella volta era un dato di fatto che io ero in basso, essendo seduta sull’uscio di casa e lei in alto, giacché era in piedi... Ma ciò che mi uccise fu quel misto di alterigia, riprovazione e disgusto che la megera ostentava soddisfatta, avendo sotto i suoi occhi la prova di quanto noi fossimo incivili e arretrati, maleducati e inadeguati a rivestire il ruolo di suoi vicini di casa.
     Smascherata irrimediabilmente, tutto l’odio con il quale avrei voluto annichilire la signora Coppolino, sua madre tornata dall’America che le aveva portato bauli e bauli di cose preziose, quella stronzetta di sua figlia a cui era permesso di mettersi la gonna stretta a dieci anni (solo uno più dei miei) mentre io dovevo accontentarmi dei vestiti smessi delle mie sorelle; tutto quell'odio, dicevo, con accompagnamento di invidia e vergogna, lo concentrai sulla mia fetta di pane e pomodoro: con rabbia e disperazione li gettai a terra (a quei tempi non si era poi così schizzinosi per la pulizia delle strade) e me ne scappai dentro casa con l'intenzione di non uscirne mai più.




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