Eravamo nel ’93 o ’94 e per me era un’occasione
imperdibile: Enzo Jannacci apriva una scuola di cabaret a Milano ed erano
aperti i provini per reclutare i partecipanti
Io la passione per il teatro l’ho sempre avuta e da una
decina d’anni la praticavo anche, avendo cominciato con il gruppo “Questa nave” di Venezia con cui
feci appassionanti esperienze ed ebbi anche l’emozione di partecipare ad una
rassegna di teatro contemporaneo, il “FESTIVAL DE OTOÑO“ a Madrid, nel ’92 con lo spettacolo “Città d’acqua”
nel quale facevo la parte di Sancho Panza. Teatro contemporaneo, cosiddetto di avanguardia, nel quale avevo già sperimentato la mia vena comica.
Insomma quella era la mia occasione, anche perché il cabaret… anche perché Milano… anche perché Jannacci…
Avevo pronto un breve monologo che mi sembrava ideale per quel provino e perciò, senza badare alle difficoltà organizzative di famiglia e lavoro, presi il treno e mi presentai in una palestra dove si svolgevano le audizioni. Per prima cosa ci fecero togliere le scarpe.
Nell’attesa, come sempre accade in queste circostanze, familiarizzai con gli altri aspiranti: tutti ragazzi giovani (accidenti, irrimediabilmente più di me).
Quando arrivò Jannacci con un suo assistente, a turno ci esibimmo. Ricordo una ragazza che portò un pezzo di Bisio “Quella vacca di nonna papera” , una che ironizzò sulle frustrazioni della sua vita di impiegata, un ragazzo che presentò un monologo molto divertente in cui un drogato si lamentava perché aveva comprato il libro “Come vincere la droga” e non ne aveva trovato dentro neanche un grammo.
Quando arrivò il mio turno, presentai il mio pezzo dal titolo “Figli” nel quale ironizzavo su manie, comportamenti, aspettative, delusioni e distorsioni dei rapporti genitori-prole.
L’emozione della prova: io al centro della palestra, sempre scalza, gli altri ragazzi seduti per terra, Enzo su una sedia alla mia sinistra, con i piedi coperti da grossi calzini bianchi di spugna, allungati sotto un banco di quelli di scuola.
Quando finii il mio pezzo fece un bel sorriso che mi incoraggiò, e ci fu anche la risata sonora del suo assistente.
Insomma, ci sperai davvero e per un bel po’ aspettai quella telefonata che però non arrivò mai.
Seppi poi che la scuola non era partita ma il locale sì, il Bolgia Umana, dalle parti di Cordusio.
Ci andai qualche volta, in occasione dei miei viaggi a Milano in visita alle mie sorelle. Un posto molto suggestivo, underground, con una prima sala in cui si faceva jazz e una successiva dove c’era il cabaret.
CIAO ENZO, HO RIMPIANTO QUELL'OCCASIONE MANCATA, MA
PORTERO' SEMPRE DENTRO DI ME, COME UN DONO PREZIOSO, QUEL TUO SORRISO...