In questi giorni, girando per i blog di tanti amici, mi sono sentita con animi e sensazioni contrastanti. Da una parte poco "natalizia" e insofferente dei riti scontati e relativi obblighi (come ricevere regali inutili da ricambiare con altrettante banalità a caro prezzo, o ritrovarsi a brindare, ad esempio al lavoro, con gente sul cui cadavere non dispiacerebbe passeggiare);
dall'altra a fare i conti con la nostalgia di quando il Natale era davvero magico: una festa per gli occhi e per il cuore, di cui i bambini erano i protagonisti migliori, e non strumenti da usare a fini pubblicitari...
Mi ricordo un Natale che ero bambina, e proprio quella mattina era tornata da Milano mia sorella Teresa, per le feste. Aspettavo con ansia di vederle aprire la valigia con i regali: lei si scusò di non aver avuto tempo per comprarmi giocattoli, ma poi tirò fuori per me un impermeabile in miniatura (di quelli di nylon marrone con la cintura) che mi sembrò il capo più elegante del mondo... O quando a casa mia eravamo in tanti e giocavamo a tombola, o quando mio padre, a tavola, il giorno di Natale, dopo aver letto la mia letterina di buoni propositi, come un prestigiatore faceva finire nella mia tasca una moneta da cento lire...
Certo allora era facile guardare il mondo con occhi genuini, oggi è più dura!
E' per questo che a volte, per affrontare il presente, mi tuffo in quel mondo dell'infanzia che mi ricarica e mi fa ricordare chi sono.
E anche adesso - con la parte buona di me - voglio ricambiare sinceramente gli auguri che sento sinceri, e rivolgendomi all'Universo Mondo (ma soprattutto alle persone che più mi stanno a cuore, tra cui tanti nuovi amici che ho conosciuto e apprezzato da questo spazio) faccio l'augurio che il nuovo anno possa offrire ad ognuno opportunità ed occasioni per esprimere al meglio la propria essenza migliore!
martedì 27 dicembre 2011
martedì 13 dicembre 2011
La caduta degli ideali (Ricordi d'asilo 1)
Di che mi meraviglio?
Io sono nata e cresciuta in mezzo alle grandi battaglie e alle sonore sconfitte!
Fin da piccola mi rendevo conto delle ingiustizie sociali, come quella perpetrata dalla Befana (v. seconda parte) ma camminavo sul crinale infido che divideva l’etica familiare dal perbenismo sociale, barcamenandomi tra il senso di appartenenza e il desiderio di essere accettata, di non dare nell’occhio.
Per esempio, quando all’asilo le suore organizzarono le elezioni, incappai per la prima volta nello scontro tra ideale e realismo e conobbi la tattica.
Le pie donne avevano allestito una vera cabina elettorale, al lato del refettorio, usando vecchie coperte (quelle grigie con una striscia bianca di tipo militare) tirate su con corde. Uno ad uno fecero entrare noi bambini nel "seggio" dove ci aspettava uno di quei fac-simili che si usavano per la propaganda elettorale. Ognuno doveva segnare con la matita una crocetta sul simbolo scelto.
Io sapevo benissimo che il nostro simbolo era falce martello e stella, come spiegava mio padre ai contadini di San Pasquale che venivano a trovarlo, ma vedendo che tutti avevano messo il segno sullo scudo crociato della Democrazia cristiana, scarabocchiai il mio “più” in quei paraggi: ero comunista ma non scema!
Mi ricordo le parole della suora, che mostrò trionfante la scheda a un papà (era uno dei pezzi grossi del paese) esclamando orgogliosa: “Sono tutti nostri!”
Quando lo raccontai a casa, sorvolando sulla mia piccola vigliaccheria, mio padre andò su tutte le furie e voleva fare uno scandalo, ma poi non lo fece …
Io sono nata e cresciuta in mezzo alle grandi battaglie e alle sonore sconfitte!
Fin da piccola mi rendevo conto delle ingiustizie sociali, come quella perpetrata dalla Befana (v. seconda parte) ma camminavo sul crinale infido che divideva l’etica familiare dal perbenismo sociale, barcamenandomi tra il senso di appartenenza e il desiderio di essere accettata, di non dare nell’occhio.
Per esempio, quando all’asilo le suore organizzarono le elezioni, incappai per la prima volta nello scontro tra ideale e realismo e conobbi la tattica.
Le pie donne avevano allestito una vera cabina elettorale, al lato del refettorio, usando vecchie coperte (quelle grigie con una striscia bianca di tipo militare) tirate su con corde. Uno ad uno fecero entrare noi bambini nel "seggio" dove ci aspettava uno di quei fac-simili che si usavano per la propaganda elettorale. Ognuno doveva segnare con la matita una crocetta sul simbolo scelto.
Io sapevo benissimo che il nostro simbolo era falce martello e stella, come spiegava mio padre ai contadini di San Pasquale che venivano a trovarlo, ma vedendo che tutti avevano messo il segno sullo scudo crociato della Democrazia cristiana, scarabocchiai il mio “più” in quei paraggi: ero comunista ma non scema!
Mi ricordo le parole della suora, che mostrò trionfante la scheda a un papà (era uno dei pezzi grossi del paese) esclamando orgogliosa: “Sono tutti nostri!”
Quando lo raccontai a casa, sorvolando sulla mia piccola vigliaccheria, mio padre andò su tutte le furie e voleva fare uno scandalo, ma poi non lo fece …
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