giovedì 31 marzo 2011

I Ziti!

…Quando mia sorella Chicca si sposò (e io avevo due anni) tutti si divertivano con i miei commenti. A Ninì, “u zitu”, dicevo: “T’a maritasti? E portattilla!” te la sei sposata? E allora portatela via.
Vedendo mia mamma che le approntava il corredo: “E tutti sti cosi nci duni? Tutti i cosi a idda?” Evidente che si faceva già strada il mio senso di giustizia sociale: eravamo in tanti, ce ne sarebbe stato per tutti? Infine, di fronte alla commozione dei grandi: “E vui chi nci ciangiti affari! Pari chi mori: si marita e basta!” Cosa state a piangere, non muore mica, si sposa soltanto! Quella saggezza spicciola che mi ha accompagnato per tutta la vita, assieme al bisogno di sdrammatizzare e di trovare la via di scampo per tutto.
Alla festa di matrimonio di Chicca posso collocare il mio ricordo più antico.
Il matrimonio di Chicca rappresenta uno dei capisaldi dell’epopea familiare, un matrimonio veramente inusuale: in assoluto il primo matrimonio civile a Bova Marina e sicuramente uno dei primi in tutta Italia.
Era successo che il prete, per celebrare le nozze, pretendeva che mia sorella gli firmasse una carta in cui diceva che mio padre la obbligava a votare per i comunisti (era il periodo in cui i comunisti mangiavano i bambini e il clero tutto era impegnato in una santa crociata). Un ricatto a cui mia sorella non intese sottostare: il corteo, arrivato all’altezza della chiesa, tirò dritto e continuò fino al Municipio, mentre il prete si mangiava il fegato!
Questi fatti si raccontavano in famiglia e ci sono ancora le foto del matrimonio: il corteo sul ponte della fiumara, gli sposi in Municipio che firmano: Chicca in un vestito di raso color avorio splendido nella sua semplicità e Ninì, allegro, con una faccia da attore americano.
Il mio ricordo, chiaro e circoscritto, si colloca durante il rinfresco.
Casa degli sposi, gli invitati seduti sulle sedie allineate lungo il perimetro della stanza; ogni tanto qualcuno passava con un vassoio pieno di "cumpetti e pastetti" con in mezzo tanti cioccolatini incartati con quelle belle stagnole colorate. Mi passavano davanti ma nessuno mi offriva. Evidente che non tenevano nella dovuta considerazione il fatto che fossi sorella della sposa. E che cavolo!
Allora vado nell’altra stanza, quella da cui partivano quei dolci vassoi, forte del mio ruolo e col fermo proposito di esercitare il mio proprio diritto di prelazione. Già dalla porta si vedeva il tavolo, al centro della stanza, su cui era stata riversata una piramide di quelle leccornie. Andavo matta soprattutto per la cioccolata, tanto che fantasticavo che, se fossimo tutti fatti di cioccolato invece che di carne, io mi mangiavo per esempio un braccio, e poi quello mi ricresceva e me lo potevo rimangiare all’infinito: che dolce vita!
Mi piacevano tanto anche i “pastetti” fatti con la pasta di mandorle e un pezzo di ciliegia candita sopra. Per ultimi venivano i confetti, con la mandorla dentro, che però erano tanto duri. Quelli erano per il prestigio sociale. Infatti noi bambini facevamo a gara a chi ne raccoglieva di più quando, fuori dalla chiesa, i parenti degli sposi li lanciavano in aria (la moda del riso fu importata molto tempo dopo da quelli che erano stati al nord). Nessuno si vergognava di raccogliere i confetti da terra, neanche i grandi, e noi bambini ci lanciavamo nella mischia. Poi ci ritrovavamo ognuno con il suo bottino di confetti interi rotti e scheggiati a contarli per vedere chi era stato più bravo.
Dunque: a) sono la sorella della sposa, b) ho libero accesso alle stanze interne, c) sul tavolo c’è una vera montagna di dolci, d) posso prenderne quanto voglio, e) …e quando mi ricapita una cosa del genere?
Mi precipito dentro, decisa ad approfittare della circostanza quando, appena superata la soglia, vedo seduto di sghembo su una sedia alla mia sinistra un signore con una pancia enorme (penso fosse quello che in paese chiamavamo “U Piparu” e sul quale circolavano tanti aneddoti buffi dovuti alla sua mole). Tutta la baldanza e la determinazione di poco prima sparirono alla vista di quell’uomo che mi incuteva soggezione. Che fare? Scoppiare a piangere? Girarmi e tornare indietro? Fingere di star cercando qualcuno?
Dopo un primo momento di smarrimento proseguii come in automatico fino al tavolo, allungai la mano e presi un unico cioccolatino, guadagnando al più presto l’uscita.
Fu lì, credo, che si incardinò la prima costante: quella delle occasioni mancate. Per quel che ricordo cominciai quella volta, a due anni, e da allora un’inarrestabile galoppata finché non si sono quasi del tutto esaurite le occasioni da perdere.

8 commenti:

  1. Un altro frammento della tua vita e grazie di averlo condiviso con noi.Saluti a presto

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  2. Mi hai fatto ridere,per i tuoi ricordi così bel ricostruiti,ma anche pensare:erano altri tempi,certo ,era tutto meno costruito e sofisticato, persino improvvisato,sembrava.Invece tutto era preparato con cura,nel tempo.Li ricordo,i matrimoni di quegli anni,da spettatrice curiosa,qualche volta con qualche diritto vantato,sorella della sposa.
    Sempre motivi di festa, per un giorno....

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  3. Ciao Cavaliere,
    grazie della tua presenza, mi fa piacere raccontare ed essere letta è una gran goduria!
    Un caro saluto
    Nina

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  4. Chicchina carissima,
    ringrazio anche te per il sostegno e l'incoraggiamento a perseverare nel blog.
    Ci sto prendendo gusto!
    A presto
    Nina

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  5. Mi hai raccontato una storia che ho sempre visto attraverso le foto in bianco e nero dei matrimoni dei miei zii, ne ho tanti, diei da parte di mia madre e quattro da parte di mio padre.
    In una foto c'è una bimba, più o meno della stessa età che avevi Tu al matrimonio di Tua sorella. La più piccola delle sorelle di mia madre... e in mano indovina che cosa ha? Un cioccolatino come da Te descritto, e confetti, appena raccolti da terra, nell'altra.
    Chissà se anche Lei, come Te, rimuginava sulle occasioni perdute :)
    Belllissimo e molto ironico il Tuo racconto.

    Bravissima Tua sorella, falle i miei complimenti.

    Un bacione

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  6. Incredibile questa concordanza di ricordi, vero Francy? Quest'effetto di "deja vu" che spesso si scatena tra chi, anche a latitudini diverse, ha condiviso un'epoca, un ambiente, un certo tipo di esperienza.
    Il ricordo di uno si moltiplica nel ricordo dell'altro e questo è il gusto dopppio della narrazione.
    Grazie per i complimenti a mia sorella che riferirò: una gran donna che non solo in quell'occasione ma ancor oggi è un faro per tutta la nostra numerosa tribù.
    Un abbraccio
    Nina

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  7. Grazie della gradita visita;ti auguro una serena notte

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  8. ...nina ho fatto un nuovo post
    " AMO LA VITA"
    Vieni a portarmi un tuo pensiero?
    Grazie Lina

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