venerdì 15 aprile 2011

Gelsominaie dal libro di Ninì Martelli " L'avventura di un uomo"

In quel periodo (primi anni '30, n.d.b.) fu dato inizio alla coltivazione del gelsomino per fare i profumi. Incaricato di tale impresa era il S. Cundari, nostro vicino di casa il quale, sapendo che mia madre aveva lavorato in tale coltura in Francia, dove eravamo stati emigrati per un paio di anni, le propose di fargli da assistente ed insegnare alle operaie i metodi di piantagione e potatura.

Iniziò così l’avventura dei gelsomini che poi si estese in parecchi comuni della provincia di Reggio, dando lavoro a migliaia di donne raccoglitrici.
Come il gelsomino cominciò a vendersi, venne impiantata la prima distilleria sperimentale, costruita in Francia.
Il gelsomino esiste dove c’è miseria e la manodopera costa pochissimo. Ricordo quelle povere donne scalze e malvestite che si portavano dietro i figlioletti. I più grandicelli raccoglievano come potevano i fiori per aiutare le madri, e i più piccini venivano avvolti in qualche vecchia coperta e coricati tra i filari.
Lavoro massacrante che aveva inizio al mattino alle quattro per finire verso le dieci. Molte ore poi bisognava attendere per la pesa, che veniva calcolata un po’ più bassa per via dell’umidità.
Come se non bastasse la fatica, il disagio veniva dalle malattie provocate da alcuni tipi di concime, in cui si annidavano parassiti che, attraverso i piedi scalzi, contaminavano le raccoglitrici. Nelle persone infettate si formava nello stomaco un ammasso di parassiti filamentosi e le vittime diventavano sempre più deboli ed esangui. Più di qualcuna morì.
In seguito fu trovato un rimedio e facevano ingoiare alle persone infettate delle capsule (contenenti etere?) che si aprivano nello stomaco e il farmaco uccideva i parassiti.
Il buono che mi ricordo è che dopo la raccolta dei fiori le donne rientrando a casa lasciavano una scia di profumo che nessun prodotto confezionato può pareggiare.

15 commenti:

  1. Mi piace questa coincidenza,(ti ho già scritto per la foto.)
    Qui il ricordo è vivo e vissuto in prima persona.
    Se ti va in seguito posso inserire anche questo pezzo,come tuo contributo,per completare il discorso sul lavoro,questo lavoro, delle donne.
    Non so se riesco per Pasqua,mi pare improbabile,ma non dico subito di no.
    Ciao e a presto.

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  2. Ciao Nina, non conoscevo questa dura realtà sul gelsomino. Ho 4 piante di gelsomino in giardino, sicuramente le guarderò in modo diverso da oggi.
    Ti auguro una buona domenica.

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  3. Chicchina, certo che puoi, mi fa piacere che la testimonianza di Ninì Martelli sia condivisa da tanta gente.
    Ti ringrazio per l'occasione.
    Ci sono tante altre belle pagine nel suo libro che danno veramente di quell'epoca il colore ed il sapore ed il profumo, come la scia che seguiva le raccoglitrici di gelsomino.
    a presto Nina

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  4. Caro Adamus nelle campagne intorno al mio paese c'erano le piantagioni di gelsomino e credo ancora oggi. Non so se sono come quelle che hai tu in giardino, perché al nord è maggiormente diffusa una specie più resistente al freddo. Questi crescono a cespuglio e ogni mattino in estate fioriscono.
    Dire "Vaj a chjuri" voleva dire: è veramente povera. Si partiva alle 3 di notte per completare il raccolto nelle prime ore del mattino.
    Io adoro il profumo del gelsomino: se potessi me ne farei un innesto dentro il naso.
    un abbraccio Nina

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  5. Quanto mi piace il profumo del gelsomino, non sapevo che per la sua coltivazione fossero morte tante donne. La povertà è tremenda e stiamo ricapitolando a quel tempo. Ora il gelsomino mi piacerà ancora di più, pensando a quelle donne.
    Ciao Nina

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  6. Cara Francy per Pasqua "vuelvo al sur" e mi aspetto di immergermi nei profumi del gelsomino (forse è ancora presto?) e del bergamotto, l'altro mio grande amore.
    Per fortuna ho un grande naso e spero di "darci dentro"...
    E pensare che a mia mamma non piaceva il profumo di gelsomino e quando lo sentiva diceva: puh che puzza. Incredibile!
    un abbraccio pasquale
    Nina

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  7. Bel odore il gelsomino;ma hai fatto bene a ricordare tutte le operaie morte tra i filari.Saluti a presto

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  8. ciao Cavaliere
    un caro saluto anche a te
    e buona Pasqua, io vado in Calabria e spero di passarla col bel tempo, circondata di colori, odori e sapori per me molto speciali
    a presto Nina

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  9. Ciao, Nina sono rosy e ti ringrazio delle belle parole per me che hai lasciato sul post che chicchina
    ha dedicato alle donne del mio paese.

    La storia del gelsomino non la conoscevo
    sono delle tristi realtà delle donne di una volta così coraggiose e lavoratrici.
    Certo, che dietro il suo bel profumo il gelsomino nascondeva una così triste realtà.
    Onore alle Donne del gelsomino-
    Grazie e buon fine settimana.

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  10. ciao Rosy
    sono contenta di averti conosciuta: mi piace come scrivi e penso che ci incontreremo ancora
    un caro saluto
    Nina

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  11. che bellissimo documento, il duro lavoro è sempre esistito ed esisterà sempre.
    Non mi ha sorpresa questa storia perché anche io lavoro scalza tutta l'estate, faccio la cameriera in un bar che è anche stabilimento balneare quindi non mi sto a mettere e rimettere le scarpe, ma lavoro scalza tutto il giorno. Servire le persone a piedi nudi non lo trovo umiliante, ma a volte mi da fastidio il modo con cui certe persone mi guardano i piedi. Non oso immaginare come le povere gelsominaie pativano il freddo e l'umido con i piedi nudi nel fango per tanto tempo, proprio non ce la farei, mentre al caldo d'estate e ai sassolini dopo pochi giorni ci fai l'abitudine.
    Maledetti, pagavano una miseria quelle povere donne e nemmeno davano loro degli stivali. Vergogna.
    Gianna

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  12. Grazie Gianna per il tuo commento e per la tua testimonianza.

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  13. ibeh Gianna, lavori scalza ma almeno ti pagano. Non so se queste schiave venivano pagate, mi scuso se le chiamo così, ma non ho un sostantivo migliore che possa qualificare quelle povere donne ingiustamente e duramente sfruttate. Ricordo che in un filmato luce del 1959 le raccoglitrici di olive in Calabria venivano ancor più miseramente pagate. Mi spiego meglio, ricevevano raramente danaro, molto più spesso olio, quindi pagamento in natura. Lavoravano scalze 12-13 ore al giorno, raccogliendo olive, ma i loro sfruttatori nemmeno si andavano a prendere i sacchi da 15 kg. Ovviamente ci dovevano pensare le schiave. Questi pesanti sacchi che dovevano essere portati nel luogo della pesatura mettevano ulteriormente a dura prova i piedi scalzi delle schiave che non camminavano sul morbido parquet dei loro padroni. Arrivate alla pesatura mica se ne potevano andare, dovevano stare ad aspettare la pesatura, mica si meritavano di essere pagate no? Ovviamente no, bisognava dare loro un po’ di olio calcolato sulla pesatura a cui veniva sottratto una tara in base alla umidità…. Subita anche questa umiliazione le schiave potevano tornarsene anche a casa. Alcune per tornare in paese si mettevano le uniche scarpe a disposizione che non potevano rovinarsi al lavoro, altre non se le rimettevano perché non avevano manco quelle, quindi qualche altra ora di cammino scalze. Ma non potevano lamentarsi perché se no non venivano più richiamate. Arrivate a casa dovevano fare anche i lavori di casa perché figurarsi se i loro mariti li facevano. Anche se sono femminista convinta non credo di aver esagerato, anzi.

    Irene

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    1. Ciao Anonima, molto interessante anche il tuo ricordo.
      Una lunga storia di sfruttamento quella delle donne, ma anche di lotta, orgoglio e grande capacità.
      Grazie del tuo commento

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  14. Le schiave esistono ancora, come le povere schiave rumene che fanno le contadine per pochi euro. Ecco il link, dalla foto sembra che siano costrette a lavorare scalze, ma, purtroppo, quello è il meno....

    Silvana

    http://www.pourfemme.it/articolo/schiave-romene-nelle-campagne-siciliane-sfruttate-e-violentate-dai-padroni/42575/

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