mercoledì 28 agosto 2013

LA CASA DI TRIPEPI


Ho vissuto per i primi sei anni della mia vita i una casa a Tripepi, un rione di Bova Marina, paesino che si incontra percorrendo la strada provinciale (che noi chiamiamo nazionale) da Reggio Calabria verso Taranto e viceversa. Tutte le case di Tripepi davano direttamente sulla strada, al di là c'era la ferrovia e subito dopo la spiaggia e il mare... Dunque alla prima stanza si accedeva direttamente dalla strada ed aveva diverse funzioni. Ci dormivano i miei genitori nel letto grande e anch’io, in un lettino vicino alla porta, sulla sinistra entrando. Era anche la stanza di ricevimento: se arrivava qualche ospite, gli si portava una sedia facendolo accomodare vicino l’uscio, sempre aperto sulla strada.
E studio: a destra, sotto la finestra,  c’era un tavolo con la radio, una di quelle grosse di una volta, con la manopola del volume e quella per cercare le stazioni. Muovendola, si spostava una barretta verticale e dietro scritte fitte e numeretti, bisognava indovinare il punto migliore per captare il segnale,  tra rumori che mi parevano suoni poco urbani o scrosci di temporale.
Quello era il regno di mia sorella Tita, che studiava ragioneria a Reggio e grazie alla radio riusciva a concentrarsi, estraniandosi dal contesto familiare, dalla confusione di noi bambini che correvano avanti e indietro e dalle direttive a raffica di mia madre.
Sul fondo, sempre a sinistra, c’era la porta che introduceva alla seconda stanza, quella in cui dormivano Tita, Cilla, Nanda, Jole, Serena e Fiorenzo (ne mancano ancora due all’appello: Chicca, la più grande e Pino: di loro non ho ricordi in quella casa perché erano andati via che ero troppo piccola).
Al centro di questa seconda stanza c’era un tavolo quadrato attorno al quale mangiavamo, chi sulla sedia, chi sul “casciuni”, la grossa cassapanca che serviva da contenitore, da sedile e da letto.
Poi si usciva in cortile: a destra c’era destra una cucinetta a legna. Un po’ più avanti, sulla sinistra, il gabinetto: un buco praticato sul pavimento con attorno una specie di gabbiotto senza porta.
In fondo uno spazietto recintato in cui tenevamo qualche gallina.
Mi ricordo che di affitto pagavamo tremila e cinquecento lire al mese.
Ogni tanto, quando torno a Bova, ci passo davanti ma non la riconosco più, è stata modificata, spostate le porte, chiusa la finestra e chissà che altro. Ma se mi capita di passare dalla parte di dietro, quella dei giardini su cui si affacciava il nostro cortiletto, ho come un tuffo al cuore e mi vengono in mente tanti episodi vissuti da quelle parti.
Mi ricordo quando, all’inizio dell’autunno, alle prime pioggerelline, rientravamo dal cortile con un asciugamano in testa e andavamo bisbigliandoci all’orecchio una all’altra: “mi rrivau na goccia d’acqua e mi dissi chi tu si storta” o altri scherzetti rituali e scaramantici, come quando mio fratello Fiorenzo, offeso per un presunto torto subito, se ne stette tutto un pomeriggio seduto sul “casciuni” con l’ombrello aperto “Così faccio malaugurio e muoio”, o quando nel cortiletto mia sorella Serena si sedette su una gallina e le tirò il collo (la buontempona di nostra zia Carmeluzza le aveva detto che così le faceva fare le uova con due rossi).
Quando ero piccola misuravo tutto col metro della mia casa. Se pensavo alla Madonna, la vedevo con il mestolo in mano a dispensare la minestra ai suoi familiari, proprio a quel tavolo quadrato della nostra seconda stanza; quando mio padre mi raccontava la storia di “Mastru Cicciu senza paura” che contava una a una le mosche che erano finite nel suo piatto di lenticchie, ed erano centocinquanta, io me lo immaginavo che le tirava su una per una dall’aluzza, e le appoggiava sul ripiano tra la cenere della nostra cucinetta…

 Ho sempre amato le novità e i cambiamenti, è il mio carattere, e anche quella volta che abbiamo cambiato casa ero contenta, soprattutto perché saremmo andati ad abitare al primo piano che per me era come salire un po’ sulla scala sociale, e poi eravamo in paese, e poi c’erano tre balconi e un gabinetto vero con tanto di sciacquone…
Ma già dopo un po’ di mesi che abitavamo nella nuova casa, io sognavo di tornare a Tripepi.

10 commenti:

  1. Mentre leggevo mi sono immaginato l'ambiente, più che immaginato attraverso la tua spiegazione ho rivisto la mia casa dove sono nata , somiglia molto alla tua.
    Nina cara, La casa dove si nasce e si cresce è come il primo amore, non si dimentica mai.
    Avessi anche un grattacielo ma quella piccola casetta dove ho imparato a camminare, a parlare e a sognare sta sempre nel mio cuore.

    Oggi non c'è più è tutto cambiato, è stato tutto buttato giù e c'è un palazzone.
    Quando ci passo davanti i miei occhi non vedono nessun palazzo solo il mio fronte-strada..così oggi chiamano i bassi di una volta.

    Quando uscivo dal collegio,ero così felice e quella piccola casetta la vedevo una reggia..se chiudo gli occhi la rivedo tutta ogni angolo, il letto grande, la cassa il tavolo, l'armadio..

    Grazie per questa post mi hai riportato indietro di tanti anni, anche se a dire il vero non è stato difficile.

    Quanti ricordi, belli e brutti,quelli belli me li inventavo io.

    Notte serena bacio ciao.

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  2. ciao amica, ci rispecchiamo una nei ricordi dell'altra e sembra di conoscersi da sempre. Che piacere questo filo che ci unisce e si rinsalda di volta in volta.
    buona notte anche a te

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  3. Alla faccia del bicarbonato di sodio, se non ho contato male nove tra fratelli e sorelle!!! Un bella banda di bambini scatenati, lo dimostra la frase “mi rrivau na goccia d’acqua e mi dissi chi tu si storta” . Mi è venuto da ridere tanto.
    Come si può dimenticare LA CASA DI TRIPEPI?
    Un caro saluto e bentornata con i tuoi scritti.
    aldo.

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    1. Caro Aldo!
      Famiglie di una volta, famiglie di altri tempi, quando in due stanze si poteva vivere in undici...
      grazie di cuore per la tua presenza amica

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  4. Un ricordo così fresco ,appena rientrata,diluisce la nostalgia del dopovacanza.
    Tutto, allora, ci sembrava normale e bello,ed una famiglia tanto grande aiutava in un certo senso,non c'era tempo per la noia,e i nostri padri,le mamme sempre troppo occupate,trovavano anche il tempo per raccontarci nu fattu.
    Ciao Nina

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    1. Ciao Chicchina, è proprio come dici e proprio per quello la nostalgia rimane sempre viva.
      Un abbracio

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  5. Cara Nina, dopo due commenti persi mi accingo al terzo, ma stavolta ho capito dove sbagliavo, perchè il programma ogni tanto cambia e mi trovo impreparata. dunque, che dire della casa di Tripepi. Una bella casa se paragonata a quella abitata prima, ma certo non una reggia. Lì ho trascorso gli anni della scuola, dai 15 ai 24 anni, quando sono partita per Milano. Certo, per studiare, come dici tu, dovevo isolarmi mentalmente da tutti i rumori circostanti, con l'aiuto della musica classica acoltata alla radio. Poi mi ricordo delle belle passeggiate serali fino alla rocca a sinistra e fino al ponte a destra, sotto qualche occhiata di controllo di mamma Melina.
    Insieme a Sina e a Maria si chiacchierava oppure col grammofono
    Maria mi insegnava il tango e il valzer, coi dischi che mandava suo fratello. Tripepi è rimasta nel cuore. Ciao , a presto.

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    1. Io ci ho vissuto poco, anche se il ricordo è indelebile. Chissà quante potresti raccontarne tu! Perché non lo fai? Dai brevi accenni a voi signorine che vi dilettavate col grammofono mi viene voglia di saperne di più. Scrivi!

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  6. C'è sempre un ricordo, o forse più di uno, che ci lega alla nostra prima casa da bambini, vissuta con leggerezza, nonostante gli spazi..
    Un abbraccio Nina, i tuoi racconti piacevoli sono gustosi da leggere.

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  7. Tanti bei ricordi in questo tuo post.
    Ti auguro una serena domenica e grazie per gli auguri.

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