
Non ho l’orologio per cui non posso controllare lo scorrere del tempo. Né chiedere al mio vicino, uno spagnolo con tanto di moglie che si legge pacifico uno di quei giornali di bordo noiosissimi che paiono scritti in epoche e mondi paralleli. Forse comunque per darmi un tono ne sfoglierò uno anch’io, nella speranza che pagina dopo pagina mi aiutino a trascorrere qualcun altro dei novanta minuti previsti.
Fuori c’è un bel sole, la vicina ha tirato giù la tendina perché è proprio accecante. Ci contavo stamattina, lungo la tangenziale per l’aeroporto, che eravamo immersi nella nebbia.
Di dormire non se ne parla: nada!
Allora dedico qualche pensiero alle mail che ho trovato ieri e stamattina. Ieri mi ha scritto Diana. Mi ha fatto piacere perché si è detta vogliosa di riprendere il laboratorio di scrittura e che forse verrà anche la sua amica Laura. Poi mi ha risposto Riccardo a cui avevo mandato un messaggio e gli dicevo che il suo libro l’ho letto. Ho cercato di essere onesta senza essere tranchante: gli ho fatto i complimenti per il bel modo di ricordare i propri genitori e per le fotografie che hanno dato una grossa mano a rendere l’atmosfera di quegli anni così diversi pur senza essere molto lontani.
Naturalmente non ho parlato dello stile scolastico, né degli svarioni incontrati qua e là, né della stampa disastrosa piena di refusi, mezze pagine vuote ecc. (un lavoro molto poco professionale che lui avrà profumatamente pagato).
Di questo però mi riprometto, semmai, di
parlargliene a voce, mettendolo in guardia per la prossima pubblicazione, se proprio ne dovrà fare ancora (nel qual caso potrò offrirmi come correttore di bozze).
In ogni caso sono soddisfatta dell’esito: pur essendomi sentita
onesta con me stessa, Riccardo si è detto onorato del mio giudizio. Missione
compiuta.
Lunga parentesi: da
quando ho visto il film Il favoloso mondo di Amelie ho dato un nome a ciò che prima classificavo genericamente come inclinazione alla gentilezza. Ho capito
che ho una missione da compiere, quella di essere il facilitatore dell’altrui autostima. Intendiamoci,
non di tutti gli “altrui”. C’è gente che detesto e che potrei schiacciare come
pidocchi, ma di coloro che ai miei occhi se lo meritano. O perché vicini al mio
sentire o perché – benché lontanissimi – sanno convincermi, per sfighe continue
e vicissitudini infelici, che anche per loro sarebbe giusto un po’ di vento in
poppa. Ed ecco che qui intervengo con pensieri parole
ed opere.
Mi viene in mente un viaggio fatto tra Calabria e
Sicilia qualche anno fa (un gran giramento di pullman, treni locali, soste
ripetute, trasbordi da un mezzo
all’altro con bagagli senza ruote) in compagnia di una suora di paese che si recava in città e mi si era
attaccata come una cozza. Vestita di
bianco multistrato sotto un implacabile sole calabro del mese di agosto,
baffuta e in modo disarmante posseduta dall’ignoranza.
Le feci compagnia
tutta la mattina, chiedendole della sua giornata, dei suoi interessi (zero),
dandole un rinforzo positivo per ogni pensiero appena articolato che riuscisse
a formulare, comprese ricette di cucina. Naturalmente me ne guardai bene dal
comunicarle il mio inveterato ateismo, così come la considerazione poco
lusinghiera che ho del clero e di qualsivoglia forma di credo religioso. Quella
suorina era troppo al di là. Giunta a
destinazione, mi salutò abbracciandomi.
Dodici e diciotto:
ho sfidato le mie paure/superstizioni che mi fanno tenere spento il cellulare
per tutto il volo, anche se mi pare di aver sentito che ciò è indispensabile
solo nelle fasi di decollo e atterraggio. Dunque lo riaccendo tenendolo nella
borsa, giusto il tempo di vedere l’ora, congratulandomi con me, con l’Alcion, con
questo quadernetto regalatomi qualche giorno fa dalla mia amica (ex cara)
Roberta e con questa penna acquistata l’altro ieri in cartoleria.
Ci sono andata a
fare la fotocopia della carta di identità. Siccome dovevo pagare solo 30 centesimi e non avevo moneta, presi
pure una penna che mi era totalmente inutile essendone piena sia in ufficio che
a casa. Ma adesso che scivola morbida sulla pagina me ne compiaccio e ammetto
che ne è valsa la pena. Con la sua scorrevolezza facilita la trascrizione dei
pensieri e riduce al minimo
l’accavallarsi in uscita delle parole.
È un po’ così che
lavoriamo nel laboratorio di scrittura: non proprio e non solo flusso di
coscienza, ma riconoscendo una qualche vita propria agli strumenti dello
scrivere che, se sono in gamba (come
questo quadernetto e la penna speedy), ti possono condurre a gran velocità
verso mete impensate, provvedendo loro, con un volta pagina o con una sbavatura
dell’inchiostro a farti seguire itinerari imprevisti pieni di svolte, pause,
curve, salti e scarti nel tempo e nello spazio.
…Sono indecisa se
tentare la carta del bagno: in genere è una manovra che ha il potere di
rilassarmi ma ormai suppongo che a breve inizierà l’atterraggio (non oso
riaccendere il cellulare!)
La fase che statisticamente dovrebbe essere più a rischio a me piace. La tormentosa ancora non si vede e stiamo gradatamente scendendo. Pregusto il momento in cui si potrà rivedere il paesaggio con le macchinine sempre meno giocattolo e gli uomini sempre meno formiche. Le ciminiere delle fabbriche quasi camini per un caldo fuoco in calda casa dove di sicuro vivono calde famiglie…
La fase che statisticamente dovrebbe essere più a rischio a me piace. La tormentosa ancora non si vede e stiamo gradatamente scendendo. Pregusto il momento in cui si potrà rivedere il paesaggio con le macchinine sempre meno giocattolo e gli uomini sempre meno formiche. Le ciminiere delle fabbriche quasi camini per un caldo fuoco in calda casa dove di sicuro vivono calde famiglie…
In definitiva, a
mano a mano che andiamo giù è come se sentissi di aver compiuto il mio dovere,
rassicurata falsamente dall’assurdo pensiero che un impatto da cento metri
d’altezza sia comunque preferibile ad uno da ottomila.
Boh! Adesso smetto,
stiamo andando giù di gran carriera e il cielo è sempre più blu.
Siamo atterrati:
Dio! Come adoro gli scossoni del carrello!!!