venerdì 22 aprile 2011

Frohe Ostern , Joyeuse Paques   Happy Easter  Feliz Pascua  Boa Pascoa  Kalo Paska Zalig Paasfest
Schastilvoi Paschi  Sretan Uskrs Fouai Hwo Gie Quai Le Eid-Foss’h Mubarak Buine Pasche!!!

mercoledì 20 aprile 2011

ALEC

Quante storie sotto il panama
Con quel naso avanti ad esplorare
Quanti sogni dietro gli occhi impavidi
Stretti a fessura per non lasciarli scappare
Un sorriso che è quasi un riso o un pianto
E la barba di tre giorni
Con le spalle forti e grandi e curve
E un pensiero che ritorni
Proprio al punto da cui era partito
Per i suoi mari, nei suoi giorni strani
Ancora a caccia di donne e di eroi
Coi coltelli e con i cani
Serate d’estate
Serenate
Rumori di chitarra
Con l’amico disperato
Lattine di birra in fila sul muro
E il futuro
Che si mescola al passato
Il giaguaro è fermo immobile concentrato
Fissa un crocevia di punti fuori di sé
Nell’indolente pomeriggio calabro
Odoroso
Di fico lattiginoso.

venerdì 15 aprile 2011

Gelsominaie dal libro di Ninì Martelli " L'avventura di un uomo"

In quel periodo (primi anni '30, n.d.b.) fu dato inizio alla coltivazione del gelsomino per fare i profumi. Incaricato di tale impresa era il S. Cundari, nostro vicino di casa il quale, sapendo che mia madre aveva lavorato in tale coltura in Francia, dove eravamo stati emigrati per un paio di anni, le propose di fargli da assistente ed insegnare alle operaie i metodi di piantagione e potatura.

Iniziò così l’avventura dei gelsomini che poi si estese in parecchi comuni della provincia di Reggio, dando lavoro a migliaia di donne raccoglitrici.
Come il gelsomino cominciò a vendersi, venne impiantata la prima distilleria sperimentale, costruita in Francia.
Il gelsomino esiste dove c’è miseria e la manodopera costa pochissimo. Ricordo quelle povere donne scalze e malvestite che si portavano dietro i figlioletti. I più grandicelli raccoglievano come potevano i fiori per aiutare le madri, e i più piccini venivano avvolti in qualche vecchia coperta e coricati tra i filari.
Lavoro massacrante che aveva inizio al mattino alle quattro per finire verso le dieci. Molte ore poi bisognava attendere per la pesa, che veniva calcolata un po’ più bassa per via dell’umidità.
Come se non bastasse la fatica, il disagio veniva dalle malattie provocate da alcuni tipi di concime, in cui si annidavano parassiti che, attraverso i piedi scalzi, contaminavano le raccoglitrici. Nelle persone infettate si formava nello stomaco un ammasso di parassiti filamentosi e le vittime diventavano sempre più deboli ed esangui. Più di qualcuna morì.
In seguito fu trovato un rimedio e facevano ingoiare alle persone infettate delle capsule (contenenti etere?) che si aprivano nello stomaco e il farmaco uccideva i parassiti.
Il buono che mi ricordo è che dopo la raccolta dei fiori le donne rientrando a casa lasciavano una scia di profumo che nessun prodotto confezionato può pareggiare.

domenica 10 aprile 2011

Grazie Concita

IL NOSTRO POSTO
 Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere ...scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi di una educazione comune. Sono stata ragazza su banchi di scuola di città di provincia dove gli insegnanti ci invitavano a casa loro, il pomeriggio, a rileggere ad alta voce i testi dei nostri padri per capirne meglio e più piano la lezione. Sono andata all’estero a studiare ancora, ho visto gli occhi sbigottiti di coloro a cui dicevo che se hai bisogno di ingessare una frattura, nei nostri ospedali, che tu sia il Rettore dell’Università o il bidello della Facoltà fa lo stesso, la cura è dovuta e l’assistenza identica per tutti. Sono stata una giovane donna che ha avuto accesso al lavoro in virtù di quel che aveva imparato a fare e di quel che poteva dare: mai, nemmeno per un istante, ho pensato che a parità di condizioni la sorte sarebbe stata diversa se fossi stata uomo, fervente cattolica, ebrea o musulmana, nata a Bisceglie o a Brescia, se mi fossi sposata in chiesa o no, se avessi deciso di vivere con un uomo con una donna o con nessuno. Ho saputo senza ombra di dubbio che essere di destra o di sinistra sono cose profondamente diverse, radicalmente diverse: per troppe ragioni da elencare qui ma per una fondamentale, quella che la nostra Costituzione – una Costituzione
antifascista - spiega all’articolo 2, proprio all’inizio: l’esistenza (e il rispetto, e il valore, e l’amore) del prossimo. Il “dovere inderogabile di solidarietà” che non è concessione né compassione: è il fondamento della convivenza. Non erano mille anni fa, erano pochi. I miei genitori sapevano che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Hanno investito su questo – investito in educazione e in conoscenza – ed è stato così. È stato facile, relativamente facile. È stato giusto. Per i nostri figli il futuro sarà peggiore del nostro. Lo è. Precario, più povero, opaco. Chi può li manda altrove, li finanzia per l’espatrio, insegna loro a “farsi furbi”. Chi non può soccombe. È un disastro collettivo, la più grande tragedia: stiamo perdendo la
fiducia, la voglia di combattere, la speranza. Qualcosa di terribile è accaduto negli ultimi vent’anni. Un modello culturale, etico, morale si è corrotto. La politica non è che lo specchio di un mutamento antropologico, i modelli oggi vincenti ne sono stati il volano: ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere i soldi per pagare, se hai belle le gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero. Mettiti in salvo tu da solo e per te: gli altri si arrangino, se ne vadano, tornino a casa loro, crepino. Ciò che si è insinuato nelle coscienze, nel profondo del Paese, nel comune sentire è un problema più profondo della rappresentanza politica che ha trovato. Quello che ora chiamiamo "berlusconismo” ne è stato il concime e ne è il frutto. Un uomo con un potere immenso che ha promosso e salvato se stesso dalle conseguenze che qualunque altro comune cittadino avrebbe patito nelle medesime condizioni - lo ha fatto col denaro, con le tv che piegano il consenso - e che ha intanto negli anni forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa vergogna come fosse “normale”, anzi auspicabile: un modello vincente. È un tempo cupo quello in cui otto bambine su dieci, in quinta elementare, sperano di fare le veline così poi da grandi trovano un ricco che le sposi. È un tempo triste quello in cui chi è andato solo pochi mesi fa a votare alle primarie del Partito Democratico ha già rinunciato alla speranza, sepolta da incomprensibili diaspore e rancori privati di uomini pubblici. Non è irrimediabile, però. È venuto il momento di restituire ciò che ci è stato dato. Prima di tutto la mia generazione, che è stata l’ultima di un tempo che aveva un futuro e la prima di quello che non ne ha più. Torniamo a casa, torniamo a scuola, torniamo in battaglia: coltivare i pomodori dietro casa non è una buona idea, metterci la musica in cuffia è un esilio in patria. Lamentarsi che “tanto, ormai” è un inganno e un rifugio, una resa che pagheranno i bambini di dieci anni, regalargli per Natale la playstation non è l’alternativa a una speranza. “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, diceva l’uomo che ha fondato questo giornale. Leggete, pensate, imparate, capite e la vita sarà vostra. Nelle vostre mani il destino. Sarete voi la giustizia. Ricominciamo da qui. Prendiamo in mano il testimone dei padri e portiamolo, navigando nella complessità di questo tempo, nelle mani dei figli. Nulla avrà senso se non potremo dirci di averci provato. Questo solo posso fare, io stessa, mentre ricevo da chi è venuto prima di me il compito e la responsabilità di portare avanti un grande lavoro collettivo.


L'Unità - Concita de Gregorio

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