Anche quel pomeriggio, obbedendo alla forza centrifuga che ci obbligava (me e le mie sorelle) ad allontanarci il più possibile dalla sfera di influenza di mia madre, mi preparai la merenda e mi precipitai per le scale decisa a raggiungere le altre bambine che due traverse più in là stavano giocando a “Cummari cummari aviti piseddi?” (era un gioco insulso che non vale la pena di stare a descrivere, per noi era principalmente una scusa per stare fuori).
Scendevo saltellando per le scale pronta a tuffarmi nell'agone sportivo, pregustando il sapore del mio pane col pomodoro (e origano e peperoncino e olio d’oliva…) nonché quello dell’effimera libertà.
Purtroppo, forze contrapposte si fronteggiarono fin dal primo balzo e fecero cadere il primo pezzo di pomodoro.
Fu un piccolo dispiacere, che in ogni caso non fece arrestare la mia corsa: pazienza, mi dissi con un sospiro, me ne resta ancora mezzo (naturalmente non mi sfiorò neanche l’idea di fermarmi a pulire, a quei tempi non eravamo tanto schizzinosi per la pulizia delle scale).
Continuo la cavalcata: altri due zompi e mi cade anche il secondo pezzo di pomodoro.
A quel punto mi fermai delusa: senza il companatico la merenda perdeva tutta la sua attrattiva.
Che fare?
Piccolo consiglio di guerra tra me e me e decisione rivoluzionaria: l’avrei recuperato!
Così tornai indietro e raccolsi anche l’altro caduto, di modo che anche l’aspetto delle scale se ne giovò a mia insaputa…
Raccolti i due mezzi pomodori, che risultavano appesantiti da un terriccio indistinto in cui si poteva intuire una parte di sabbia nonché pezzettini di intonaco biancastri, mi sedetti sullo scalino esterno e cominciai a ripulirli con ancora un po’ di dispiacere ma con amorevole pazienza.
Già avevo superato lo choc iniziale e risistemavo il tutto sulla fetta di pane con cura e professionalità. La merenda era come nuova, l'acquolina riprendeva a dilagare in bocca, mentre mi concentravo nel posizionare le dita della mano destra in modo tale da impedire ulteriori tentativi di fuga. Quasi finito…
Di colpo mi sentii invasa da una sensazione spiacevole. Che poteva essere? Non certo il senso di schifo (a quel tempo, se non si fosse capito, non eravamo tanto schizzinosi). Veniva dalla strada, mi sentivo come con un faro puntato addosso…
Intuivo che era meglio non farlo ma, attratta come da una calamita, fui costretta ad alzare gli occhi fino a incrociare lo sguardo sprezzante della signora Coppolino, quella che già ci guardava dall’alto in basso.
Quella volta era un dato di fatto che io ero in basso, essendo seduta sull’uscio di casa e lei in alto, giacché era in piedi... Ma ciò che mi uccise fu quel misto di alterigia, riprovazione e disgusto che la megera ostentava soddisfatta, avendo sotto i suoi occhi la prova di quanto noi fossimo incivili e arretrati, maleducati e inadeguati a rivestire il ruolo di suoi vicini di casa.
Smascherata irrimediabilmente, tutto l’odio con il quale avrei voluto annichilire la signora Coppolino, sua madre tornata dall’America che le aveva portato bauli e bauli di cose preziose, quella stronzetta di sua figlia a cui era permesso di mettersi la gonna stretta a dieci anni (solo uno più dei miei) mentre io dovevo accontentarmi dei vestiti smessi delle mie sorelle; tutto quell'odio, dicevo, con accompagnamento di invidia e vergogna, lo concentrai sulla mia fetta di pane e pomodoro: con rabbia e disperazione li gettai a terra (a quei tempi non si era poi così schizzinosi per la pulizia delle strade) e me ne scappai dentro casa con l'intenzione di non uscirne mai più.
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Primooo!
RispondiEliminaLo conosco quello sguardo,
me lo son sentito addosso parecchie volte
ma prima mi hanno insegnato
poi ho imparato a sostenerlo
e se necessario a sorridergli contro.
Ho idea che veniamo dalla stessa povertà
che mai fu miseria.
Ben scritto, era ora.
Ciao.
Allora essere schizzinoso era un lusso che non potevo permettermi...amavo il pane fritto una vera passione.
RispondiEliminaMolte foto su " Per Giunta " le ha scattate D. ( mio figlio ) che attraversa il mondo per lavoro, ad Hong Kong non sono mai stato.
Allora essere schizzinoso era un lusso che non potevo permettermi...amavo il pane fritto una vera passione.
RispondiEliminaMolte foto su " Per Giunta " le ha scattate D. ( mio figlio ) che attraversa il mondo per lavoro, ad Hong Kong non sono mai stato.
A quei tempi non si osava ancora lo sguardo di sfida verso un adulto e soprattutto non veniva ancora spontaneo dire "ma fatti i cxxxi tuoi!"
RispondiEliminaCristiana
Delizioso racconto, condito di Verità saporite come il panino pregustato e non gustato da quella bambina che eri (ci trovo dentro tutta la gamma dei sapori, dal più dolce al più acre).
RispondiEliminaNe approfitto per dirti quanto invidio tua figlia che vive nella meravigliosa Barcellona: mi era sfuggito l'altro post e adesso capisco perché: ha la stessa data dell'uscita del mio secondogenito... :-))))
Un grande abbraccio.
Ciao Massimo,
RispondiEliminaho anch'io una forte impressione di condivisione nel leggere i tuoi racconti.
Ti ringrazio per il "ben scritto" che in fondo è ciò che fa la differenza.
A presto
Nina
Nicolanondoc ciao!
RispondiEliminaChe buono il pane fritto! (purtroppo molto di ciò che è buono fa male...)
Complimenti d D. per il suo lavoro che sarà molto più interessante del mio e per le belle foto.
A presto
Nina
Cristiana
RispondiEliminala tua presenza nel mio piccolo spazio è veramente gratificante: grazie!
Nicola,
RispondiEliminaIl tuo apprezzamento mi riempie di gioia, la tua attenzione (in un momento fantastico per te, in cui saresti più che giustificato a distrarti) mi conferma che persona speciale tu sia. Del resto essere un grande scrittore necessita di umana grandezza ...
Vero, Barcellona è meravigliosa e mia figlia pure, non vedo l'ora di tornarci!
P.S.: ho visto il calendario delle presentazioni del tuo libro. Aspetto al più presto un appuntamento per me agibile: Veneto e dintorni.
Hasta siempre!
Spero tanto che il Veneto possa essere la seconda infornata più o meno a metà dicembre... :)
EliminaA presto!
Vedi Nina sei stata capace di "intenerirmi il core" con questo tuo bellissimo ricordo, anche se triste.
RispondiEliminaQuei tempi, molto brutti, purtroppo li ho vissuti anch'io e i miei tre fratelli.
Non mi sono meravigliato che gradivi/gradisci il pane col pomodoro fresco e...tutto il resto.
Anche adesso, la mia cena è questa.
Nostalgia? Forse.
Un caro saluto,
aldo.
Bellissimo racconto di vita,anche da questo si può imparare,buona serata Nina.
RispondiEliminaCara Nina .
RispondiEliminaChe bel racconto . Mi fai sempre emozionare . Come è brutto patire la fame . Io essendo figlia del dopo guerra ne so qualcosa . Ai quei tempi anche il pane e il pomodoro nella mia famiglia era un miraggio . Oggi il pane e il pomodoro e la mia colazione preferita . Un bacio Lina
Davvero un bel pezzo, un'istantanea di vita dei tempi andati resa alla perfezione
RispondiEliminaGrazie Aldo, so che ci capiamo e ci specchiamo reciprocamente: i nostri racconti scaturiscono spesso da ricordi che hanno diverse cose in comune...
RispondiEliminaIo però non lo vivo come un episodio triste, forse perché non sono del tipo che si compiange ma che ci ride su e quindi questi ricordi sono per me la testimonianza dell'humus nel quale mi sono formata e di cui mi sono nutrita che mi ha reso allegra scanzonata e forte.
Achab benvenuto è ben ritrovato: è bello ospitarti!
RispondiEliminaCiao Lina, sono felice di emozionarti, grazie!
RispondiEliminaIn realtà i miei fratelli maggiori hanno conosciuto la fame (ed è forse per questo che ora il loro frigorifero deve essere sempre traboccante), Io fortunatamente sono arrivata in tempi più miti (sono l'ultima di dieci) e al contrario di loro ero addirittura inappetente...
Artemisia
RispondiEliminagrazie davvero!
Ah, Nina mia, quanto si è impulsivi da bimbi ...Veramente io lo sono anche da adulta!!!!!
RispondiEliminaIo avrei mangiato il mio bel panino al pomodoro e terra ,alla faccia della "stronzetta" e le sue gonne strette...
Ma tutto questo ha solo il sapore dell'esperienza...
Samckkone!
Cara Nina, innanzitutto bentornata!
RispondiEliminaCi sono certi sguardi che feriscono più della parola.
Hai raccontato cosi bene un giorno della tua vita di bambina.
Credo, che se non ci fosse stato l'alterigia della signora che con uno sguardo ti ha ferito, forse non avresti ricordato e raccontato quel giorno.
Gli sguardi sono parole mute a cui è difficile rispondere, ed è anche difficile dimenticare quelle mute parole, che lasciano il loro segno più di una frase....
Io sarei andata a giocare, non avrei pensato al pomodoro e se l'avessi fatto anche tu non avresti incontrato la (marchesa tu mi stufi) una battuta che da noi si fa sempre, che sta ad indicare
quelle persone che si danno troppe arie.
Ciao e abbraccio.
Grande racconto che tocca il profondo del cuore.
RispondiEliminaSaluti a presto.
Quanti ricordi sei riuscita far uscire dal mio cassettino della memoria, Nina, pensa che la bisbetica nella corte dove io abitavo si chiamava Vittoria, la zia Vittorina per noi bambini del rione, non si lasciava sfuggire niente, per noi bambini era un poco strega, un poco monaca, visto il suo continuo incitarci ad andare in chiesa, in ogni ora del giorno, per redimerci anche dai peccati più veniali, per quando riguarda pane e pomodoro, non era proprio il cibo nordico, ma mi è capitato la stessa cosa con una fetta di burro e marmellata, la raccolsi, con una mossa tipo muratore, ma con il dito indice, visto che soffiando non sarei arrivato ad alcun che misi il tutto in bocca, e via di corsa succhiando il dito.
RispondiEliminaUn salutone da Riccardo.
Cara, un racconto di come eravamo..Ricordo che ero ragazzina e la prof. di italiano mi invitò a pranzo, faceva caldo, un moscerino si posò sul mio piatto di pasta ed io rimasi un pò confusa, ma la prof. mi disse che non dovevo fare la schizzinosa..visto che a casa mia non sempre c'era d mangiare. Ne fui colpita amaramente, come mi ha colpito il tuo episodio di vita vera.
RispondiEliminaTi abbraccio.
cara Riri, grazie di aver condiviso quel ricordo che, come il mio, rispecchia tante situazioni in cui le differenze sociali si facevano sentire eccome (perché non lo raconti anche tu?)
RispondiEliminaUn grande abbraccio
Nella: anch'io col senno di poi non mi sarei fatta condizionare da quella falsa superiorità...
RispondiEliminaciao e grazie della tua gradita presenza
Rosy, devo avertelo già detto ma mi ripeto: i tuoi commenti fanno sempre centro nel cogliere la motivazione che mi spinge a scrivere, a raccontare.
RispondiEliminaTi ringrazio della tua attenzione che mi gratifica e mi fa sentire forte il legame ideale che ci avvicina
Un caro abbraccio
Nina
Cavaliere, sempre graditi i tuoi commenti: ti ringrazio di cuore!
RispondiEliminaRiccardo, è questo uno degli aspetti belli del racconto (sia quello che si fa che quello che si ascolta o legge) che a catena ne partono altri e poi altri ancora e questo fa sì che ci si riconosca e ci si ripecchi a vicenda.
RispondiEliminaE questo è ancora più forte quando, per vicinanze di vario tipo (epoca, zona di provenienza, situazioni) veniamo fuori, più o meno, dallo stesso brodo di coltura...
Un salutone e grazie!
Ancora una bella pagina densa di ricordi di sapori e di colore.
RispondiEliminaNon è difficile immaginare lo sguardo di riprovazione della signora,non importa il nome ,l'altezzosa aria di stupida superiorità era comune a molte...
Ma protagoista della storia resta sempre quella fetta di pane e pomodoro,l'olio spesso un lusso: è stata compagna..di merenda per tanti anni da rendere indispensabile la sua presenza,magari con preparazioni più elaborate,tutte le volte che vogliamo rinverdire i ricordi.Mi ha fatto bene leggerti questa sera,una piccola spiaggiadove fermarmi un attimo.
Ciao e grazie per le emozioni che trasmetti.
Carissima Chicchina,
RispondiEliminaciao e grazie. Come va? Ti ringrazio delle belle parole, so che ci capiamo. (Il nome che ho dato alla simpatica signora è inventato ma il suo sguardo così vero che ce l'ho ancora davanti agli occhi).
Ti intuisco impegnata, indaffarata... Mi auguro tutto bene e ti do appuntamento a presto
Un bacio Nina
Cara Nina , questa è solo una prova visto che avevo scritto tanto ed è andato perso. provo ancora,se ci riesco cerco di riscrivere tutto da capo.
RispondiEliminaQuesta è una prova.
RispondiEliminaprovaci ancora, Terry!
RispondiEliminaCiao Nina, un buon fine settimana.Prima o poi racconterò qualcosa.
RispondiEliminaDelizioso e simpatico ritaglio di infanzia. La descrizione è talmente precisa che ho avvertito il profumo del panino e l'arroganza della Signora Coppolino.
RispondiEliminaCerto che avevi già un bel caratterino, eh.. eh..
Peccato per il panino non consumato.
Ciao, un abbraccio, a presto.
Caro Adamus!
RispondiEliminaSono l'ultima di nove figli, quindi un po' sveglia dovevo esserlo per forza!
grazie e a presto
Passo per augurarti una felice serata e un buon week end.
RispondiEliminaEccomi qua... è di una delizia unica questo Tuo racconto... c'è la semplicità, la passione e l'orgoglio di una Calabria che amo da sempre. Quel panino con pomodoro, origano, peperoncino e olio d'oliva... tutto nostrano... fa ancora parte delle delizie di questa Nostra terra, spesso è il mio pranzo veloce. Mi dispiace che quella donna snob Ti abbia impedito di mangiarlo... anche se con l'aggiunta di terriccio e intonaco :))
RispondiEliminaUn abbraccio grande Nina e... grazie per il Tuo calore.
ciao Francy,
RispondiEliminanon mi sembra vero che abbia smesso di piovere!
Bentornata cara amica e grazie: sarò orgogliosa di ritrovare il mio raccontino tra le tue perle.
A presto
Che brutto ricordo...
RispondiEliminaBuona domenica, Nina.
Ciao Nina, il tuo bel raccontino vissuto mi è molto piaciuto, per la semplicità e la tua solita ironia,che apprezzo moltissimo.
RispondiEliminaMi è venuto in mente,quando per la prima volta sono capitata in un ambiente che non era il mio, dove tutti più o meno vivevano più semlpicemente e soprattutto tutti parlavano in dialetto.
Dunque, per consiglio del maestro di quinta Mandalari, e dopo aver fatto l'esame d'ammissione superato molto bene, pagando la preparazione con una pezzotta di pecorino, entro nella Scuola Ginnaio Tommaso Campanella, di Reggio Calabria:anno scolastico
1951 - 1952.
La professoressa di Economia Domestica ci disse subito, che purtoppo, quella non era più la Scuola della Società bene, ma ahilei, troppa gente del popolo si era intrufolata.
La professoressa di Italiano addirittura arricciava il naso, dovendo interrogare una di queste.
Un giorno che era in classe quest'ultima alzo educatamente un dito
e aspetto che Lei mi veda e, quando finalmente mi scorge. - Cosa
vuoi? -
Io facendo mentalmente la traduzione simultanea dal dialetto all'italiano: - Professoressa, devo andare in bagno, po...po...POZZO uscire?
Lei, con un ghigno di scherno: Vai, vai.
Per fortuna adesso ma molto prima io ci rido sopra, con tanta simpatia verso quella bambina che ero Teneramenteterry
ciao Gianna e benvenuta: in effetti in quel momento non ero felice, ma ora ripensando a quegli episodi sorrido, come dice Terry, con tanta simpatia verso quella bambina che ero.
RispondiEliminaciao Terry e complimenti per avercela fatta.
RispondiEliminaBello il tuo ricordo, che ci riporta a come eravamo e a quanto era difficile per chi voleva oltrepassare i limiti che una società classista voleva fossero invalicabili.
Ora pare che non sia più così ma i modi dell'esclusione, seppure meno plateali, funzionano ancora.
In ogni caso la nostra forza è stata sempre il non arrenderci mai!
Nina ho letto tutti i commenti sul pane e pomodoro, tutti ti hanno detto qualcosa che mi ha colpito, ma come dice Nucci Massimo abbiamo conosciuta la povertà, che poi più o meno riguardava quasi tutti e quindi neanche ci sentivamo poveri, ma sicuramente non abbiamo mai conosciuto la miseria, nè concreta nè morale, anche se di (marchesa tu mi stufi) come dice Rosy ce n'erano e quelli sì che
RispondiEliminaconoscevano la miseria del cuore.Terry
Ciao Terry
RispondiEliminae grazie di ripassare: mi piace ciò dici, che hai notato i commenti di due persone con cui mi sento molto in sintonia.
Da te come va? Vengo a vedere
Un ricordo dolce-amaro, col quale mi confronto e ne sorrido ora..che la vita mi ha regalato di più..
RispondiEliminaUn caro saluto.
Un ricordo dolce-amaro, col quale mi confronto e ne sorrido ora..che la vita mi ha regalato di più..
RispondiEliminaUn caro saluto.
Però dopo sei uscita ancora, giusto?
RispondiElimina1) Che fine ha fatto la sig.ra Coppolino e la sua stronzissima figlia?
2) Com'è il gioco dei "piseddi"?
3) Ogni bambino ha la sua nemesi. La mia era la signorina Rossi, una vecchiaccia (che aveva, credo, più o meno la mia età adesso...) che abitava proprio davanti al mio appartamento e che non perdeva occasione di rimproverarci non solo per le cose che facevamo, ma anche quelle che non facevamo (tipo disegnare una croce celtica sul soffitto dell'ascensore - eravamo tre fratelli il più alto dei quali non superava il metro e quaranta).
4) Oltre alla nemesi principale, spesso ce n'è una secondaria. La mia era la signora Veronese del primo piano, e le sue figlie. Non erano male, come famiglia, nel complesso (ricordo che d'estate. la sera, si affacciava alla finestra e ci guardava giocare, contenta - dietro, girava una di quelle lampade anni settanta, fatta con fili di fibra ottica con una luce all'interno che cambiava colore - una roba brutta che mandava in estasi noi bambini). Un giorno, con i miei fratelli (eravamo tre maschietti) e alcuni amici, ci siamo messi a giocare a nascondino. Io, che ero il più furbo, mi sono nascosto in un bidone dell'immondizia, grigio, cilindrico - di quelli che c'erano prima che arrivassero i cassonetti. Sono stato ad aspettare un po' - diciamo fino a quando una delle figlie della signora Veronese è scesa a buttare un sacchetto di spazzature... Quando ha aperto, e mi ha visto dentro, mi sono sentito come te davanti alla signora Coppolino... Pensa, avevo sei anni, cioè 36 anni fa, e ricordo perfettamente il colore del maglione che avevo quel giorno... sono cose che ti segnano! ;)
Ben trovata!
Paolo
mmmm... avevo postato un commento di mezza pagina e non lo vedo...
RispondiEliminaPaolo
non riesco a postare i commenti...:(
RispondiEliminaBenvenuto Paolo! E grazie anche per la perseverenza: non sapevo che c'erano problemi nel lasciare commenti. Spero che non si ripeta più.
RispondiEliminaMi fa piacere che siano scattati anche i tuoi ricordi: quella lampada di cui parli me la ricordo anch'io: un emblema di modernità.
Dunque, la simpatica signora non è più tra noi, amen.
Sua figlia - che a quel tempo invidiavo - crescendo è diventata una chiattona che noi, con malcelato spirito di rivalsa, chiamavamo "Base per altezza" a dire che aveva le forme di un rettangolo (che carogne!).
Il gioco era con quattro bambine ai quattro angoli di
un quadrato immaginario (con un sasso per base) e una quinta che andava da una all'altra a chidere se avesse piselli. Quelle sistemate sulle basi se la rinviavano da una all'altra e nel mentre la sfigata si spostava, si scambiavano di posto. Se l'esclusa riusciva a guadagnare una base, ne prendeva possesso e via di seguito... (insomma una spece di baseball delle baracche senza palle).
Vedo che anche tu non scherzavi, bel coraggio a ficcarti nel bidone della spazzatura: vero che i ricordi di quei momenti speciali da bambini restano incredibilmente perfetti!
Ciao e alla prossima
Ciao Nicola!
RispondiEliminaPasso per salutarti e ringraziarti cara amica.
RispondiEliminaaldo.
Rettifico: i commenti non si vedono dopo averli postati, ma poi riemergono! ;) Quindi nulla è andato perduto...
RispondiEliminaIl gioco di cui parli qui in Veneto si chiama "quattro cantoni". Nel giugno del 1976, quando non avevo ancora compiuto sei anni, siamo andati (io, i miei due fratelli e i miei genitori) a trovare un vecchio amico di mio padre, Paolo detto Pedro - un uomo veramente alternativo - che abitava dalle parti di Udine. Da quelle parti, circa un mese prima, c'era stato un terremoto - il famoso terremoto del Friuli. Ricordo le case aperte, con le camerette che si vedevano in sezione, e le macerie ancora lungo le strade. A un certo punto ci siamo fermati in una piazzetta e noi cinque ci siamo messi a giocare proprio a "quattro cantoni", o, come diresti tu, a "Cummari cummari avete i piseddi?". Era una giornata di sole, mio padre non aveva ancora quarant'anni e mia madre poco più di trenta. E' un ricordo così nitido che in questo momento ho la pelle d'oca! ;)
A presto!
Paolo
Rettifico: credo che il posto con la piazzetta fosse Gemona sul Friuli...
RispondiEliminaCaro Paolo
RispondiEliminabene, sono contenta che il marchingegno funzioni (mi ero allarmata perché in quanto a tecnologia la mia posizione è vicina allo zero...)
Ricordi che richiamano ricordi: io ricordo benissimo quel terremoto, non tanto la prima scossa (quel giorno ero a Milano per un esame all'università e non l'ho avvertita) ma tutte quelle che seguirono per quasi un anno. All'epoca abitavo a Marghera all'ottavo piano e spesso, soprattutto di notte, si ballava.
Avevamo preparato una borsa "di emergenza" per scappare in caso di terremoto e la tenevamo dietro la porta. Ma con tutte quelle scale da fare, alla fine non la usammo mai e invece che in strada uscivamo sul balcone: qualche scambio con i vicini e poi tornavamo a dormire.
Un abbraccio e buon fine settimana.
RispondiEliminaProfumi tanto desueti da non avere una corrispondenza nella mia vita di tutti i giorni, ma dei quali è bellissimo sentirsi circondati almeno a parole!
RispondiEliminaBenvenuta Patalice!
RispondiEliminaSai Nina giovedì 15 alle 19.30 insieme ad alcuni altri blogger ci siamo ritrovati alla libreria Altroquando qui a Roma, in via del Governo Vecchio, dove abbiamo abbracciato Nicola Pezzoli alias Zio Scriba anche a nome di tutti i blogger che lo conoscono e dove ci ha presentato il suo secondo romanzo QUATTRO SOLI A MOTORE
RispondiEliminaLa blogger amica Nou-"Punto e virgola di Nounours" ha pubblicato ieri sera sul suo blog un post che descrive un po' la serata.
Un caro saluto,
aldo
Solo un caro saluto:-)
RispondiEliminaSon sempre le parole che fanno sognare.. le tue Nina particolarmente.
RispondiEliminaUn abbraccio
Grazie della visita
Maurizio
Solo un saluto.
RispondiElimina