venerdì 22 febbraio 2013

ITALIANI "CONQUISTADORES"

Vi propongo un brano tratto dal libro di Antonino Martelli “Ninì, l’avventura di un uomo” (che è stato il primo prodotto della Nina-edizioni) il quale, dopo aver circolato nel ristretto giro di parenti e amici, è stato poi pubblicato per davvero a spese dell’Università della Terza Età di Bova Marina (e questa è stata per me la soddisfazione più grande…)
Due parole sull’autore: Antonino Martelli, Ninì (che da qualche anno ci ha lasciato) era mio cognato, ma non solo. Per noi familiari e per quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo, incarnava il mito dell’uomo risolto, libero, coraggioso e leale, con una forza d’animo tale da non esitare mai, dopo ogni insuccesso, a ricominciare da capo. Riporto alcuni passi della presentazione che avevo scritto a suo tempo per il libro:


Ninì è quello a destra

“…Avventure e disavventure di un uomo nel periodo che va dalla seconda metà degli anni '30 all'immediato dopoguerra; l’epopea di un’umanità che lotta, combatte, si arrabatta, si inventa la vita giorno per giorno, tra speranze e delusioni, senza arrendersi mai.
…Nello svolgersi della narrazione, Ninì ci cattura con i colori, i sapori e gli odori più svariati (come il profumo dei gelsomini)  ci fa respirare  l'atmosfera del mondo mitico della sua infanzia, ci appassiona con  mille avventure legate al periodo della guerra, le esperienze di sommergibilista, la fuga sotto i bombardamenti, le peripezie di clandestino, i  viaggi alla ricerca di fortuna, il suo non arrendersi mai…”

Italiani conquistadores
(parte I: Infanzia e adolescenza)

           Finita l’estate si rientrava a scuola. Io, durante le elementari, ebbi tre maestri. Nelle prime tre classi una maestra di nome Guida molto brava come insegnante e come persona. In quarta elementare un maestro “zitellone” di nome Musitano al quale ci permettevamo di fare qualche scherzo, ma che quando si arrabbiava non esitava a prenderci a sberle. In quarta Villivà, severo e manesco che non poche verghe ci ha rotto addosso. Era molto autoritario e lasciava poco spazio alle nostre monellerie.
         Era soprattutto un fanatico fascista, affascinato dalla personalità di Mussolini e non perdeva occasione per lodare il Duce e il suo genio. Noi ragazzi, avendo scoperto questo suo debole, lo imbeccavamo chiedendogli ragguagli sulla vita di Mussolini e sulla rivoluzione fascista.
        Al che di buon grado ci raccontava in dettaglio com’era avvenuta la marcia su Roma, come il Re avesse accolto il Duce ecc. ecc. Poi, infervorato, estendeva il suo dire agli altri “padri della Patria”, eroi e scienziati. E via con Guglielmo Marconi inventore della radio, del primo esperimento, del primo bip e del tipo che ascoltandolo doveva sparare un colpo di fucile; l’esperimento delle luci accese in Autralia con un segnale inviato dall’Italia... quante volte li ho sentiti! A volte, preso da questo entusiastico discorso, si lanciava a fantasticare sulle invenzioni dell’avvenire, che certamente a inventarle saremmo stati noi italiani... Ben presto avremmo avuto la televisione... Per darci l’idea di cosa fosse ci forniva questa immagine: “Pensate ad uno specchio nel quale ad un certo momento, girando un bottone come si fa con la radio, appare il Duce mentre parla a Roma, nello stesso istante che noi lo vediamo qui e in tutta Italia”. E noi ragazzi, un po’ increduli e un po’ stupiti, esclamavamo “Sarà certamente un italiano ad inventarla!” “Probabilmente, ma bisogna tener conto che in tutto il mondo fanno queste ricerche... ma i nostri scienziati sono i migliori e le probabilità sono a nostro favore...” Certo per il nostro maestro era più un augurio che una certezza, infatti poi è stata inventata da altri e molti anni dopo.
        Trascorso qualche tempo, l’attenzione della gente si concentrò su una eventuale guerra di conquista coloniale a fare dell’Italia un impero. I gerarchi fascisti erano entusiasti, pensando che poi loro si sarebbero sistemati in quelle terre ad arricchirsi, perché no. Così un bel giorno si passò dalle parole ai fatti: gli italiani partirono alla conquista dell’Etiopia.
        In paese la gente era molto scontenta, dicevano che tutto quel denaro che si spendeva per fare questa guerra si poteva spenderlo qui da noi, creando lavoro nel nostro paese e tirandolo fuori dalla miseria. Idiozie. Noi, come gli inglesi e i francesi dovevamo diventare un paese con colonie, creare un potente impero, mettendoci alla pari degli altri. Così cominciarono a partire militari di leva e volontari. Quest’ultimi, per la maggior parte, più che mossi da sentimenti patriottici erano attratti da quel misero stipendio e dall’assegno che avrebbe permesso alle loro famiglie di sfamarsi.
      Questo nostro atto di guerra per la conquista dell’Etiopia fu disapprovato da gran parte delle nazioni europee che, per punirci, applicarono le sanzioni economiche e chiusero ogni tipo di commercio verso di noi (almeno ufficialmente). Ma noi reagimmo applicando l’autarchia. Si cominciò a fabbricare scarpe con suole di sughero, tessuti di estratto di latte che quando si bagnavano sprigionavano un odoraccio schifoso. Poi seguì la battaglia del grano: in ogni palmo di terra si seminava grano, comprese le ville comunali.
      Eravamo impegnati in questa lotta, spinti dalla propaganda fascista che non mancava di farci vedere sui giornali il Duce impegnato a trebbiare.
       Fu in questa atmosfera da conquistadores che vidi partire anche mio padre, sebbene avesse quasi cinquant’anni. Il suo fine era, se avesse avuto la fortuna di ritornare, poter ottenere la licenza di macellaio. Ma io penso che c’era pure un po’ di amore per l’avventura.
      Partirono fanatici e poveri (più poveri che fanatici). I ricchi, i gerarchi fascisti rimasero quasi tutti a casa e la guerra la seguivano alla radio nella casa del fascio dove avevano appeso una carta geografica dell’Etiopia e, con delle bandierine spillate sopra, segnavano l’avanzata delle nostre truppe gloriose, intonando l’Inno Nazionale e Faccetta nera. A noi ragazzi queste cose ci esaltavano!
        Il mio amico Spartaco ed io, dopo aver ascoltato un’ennesima volta le gesta di ragazzi che la propaganda fascista ci propinava, decidemmo di non essere da meno di costoro che noi ritenevamo eroi. Ci dicemmo “E noi perché no?”
        Fu così che un tardo pomeriggio, dopo esserci riempiti le tasche di biscotti di grano, qualche fico secco e pochissime monete, tentammo la grande avventura. Obiettivo Messina. Dal porto di Messina salpavano le navi verso l’Africa, cariche di materiale bellico e di militari, e noi avremmo potuto imbarcarci clandestinamente e raggiungere i campi di battaglia, dove ci saremmo coperti di gloria e di medaglie al valore.
        Così al primo treno merci che si arrestò alla stazione, ci avvicinammo guardinghi e in uno degli ultimi vagoni, dove c’era l’abitacolo del controllore, visto che non c’era nessuno, salimmo rapidamente e ci chiudemmo dentro. Accomodandoci alla meno peggio sulla panca ci parve di avere ottenuto già la prima conquista.
        Il treno si fermava a tutte le stazioni e tutto filò liscio fino a Condofuri. Lì la sosta si fece lunga dato che la locomotiva si riforniva di acqua e i controllori avevano tutto il tempo per verificare il treno. Fu così che venne aperto lo sportello del nostro nascondiglio e quale non fu lo stupore dell’impiegato, vedendoci. Rimase qualche istante perplesso, poi sbottò “Ma che cavolo ci fate voi due qui?!”
      Rispose Spartaco e francamente mi stupii sentendolo piagnucolare, dicendo che suo papà (non il mio) si trovava a Reggio in attesa di partire per l’Africa per la conquista dell’Abissinia e che voleva vederlo ancora una volta prima che si imbarcasse.
        “Bene” rispose il controllore, senza commuoversi affatto per la pateticità del racconto, “a me non me ne frega niente della tua storia. Questo è un treno mercantile e non passeggeri e per giunta non avete neanche il biglietto. Perciò rimanete a terra e non tentate di risalire, altrimenti alla prossima fermata vi consegnerò ai carabinieri”.
        Partimmo mogi mogi verso la sala d’aspetto dove rimanemmo al riparo ed approfittammo per sgranocchiarci i biscotti con qualche fico secco. Non mancarono le imprecazioni contro quell’energumeno di impiegato che ci aveva anche minacciati.
        Poi decidemmo che non era questo piccolo intoppo che poteva distrarci dai nostri grandi propositi di conquistatori e ripartimmo con la fantasia sentendoci protagonisti di una grande e meravigliosa avventura. D’un tratto sentimmo un treno arrestarsi e in modo molto guardingo ci avvicinammo alla porta di un vagone, l’aprimmo e ci infilammo dentro nascondendoci, e per fortuna non fummo scoperti.
      Giunti alla stazione di Reggio ci avviammo verso l’uscita in mezzo agli altri passeggeri. Una volta fuori, nella piazza Garibaldi, ammirammo la statua del grand’uomo e sperammo di poter emulare le sue gesta. Traversammo la piazza e percorremmo il Corso, ammirando la villa, i palazzi, le vetrine, tutte cose nuove per noi che mai avremmo immaginato che una città fosse così grande. La vetrina di una pasticceria attirò la nostra attenzione. In un baleno entrammo e tirando fuori quel poco di monete che avevamo in tasca, li investimmo in paste alla crema che divorammo in un istante.
      Quello fu un momento di debolezza, ma ritornammo subito alla realtà, quella realtà che ci attendeva: la conquista di terre lontane, civilizzare i negri, fare dell’Italia un impero con a capo il Duce... Nella nostra fantastica immaginazione ci vedevamo al rientro in Patria, al paese, con il petto carico di medaglie al valore, guardati con ammirata invidia dai nostri compaesani.
      Non rimaneva che presentarci dal Segretario Federale ed esporre il nostro desiderio di raggiungere l’Africa al più presto.
      Giunti alla federazione, bisognava stabilire per le scale un qualche piano per farci ricevere dal Federale. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco e infatti, dopo esser saliti al piano superiore, una guardia ci venne incontro con l’aria un po’ stupita e ci chiese cosa facessimo lì. Risposta di Spartaco: “Vogliamo andare a combattere in Etiopia a fianco dei nostri soldati” al che la guardia non riuscì a frenare una gran risata.
       Alla fine, ripresosi, con calma e beffardo dice “ Ma allora siamo a posto, le nostre armate possono rientrare, una volta che arrivate voi due laggiù gli abissini si arrenderanno in massa, prostrandosi ai vostri piedi!” E di nuovo a ridere...
        A tanto insulto Spartaco si rivolse a me “Andiamo. A questo glie la farò pagare cara, io so a chi rivolgermi”. Ritornammo in città ma lui non mi disse a chi si sarebbe rivolto per fargliela pagare a quel bestione che ci aveva derisi perché non aveva capito di trovarsi in presenza di due futuri eroi.
      Lungo il Corso incontrammo due paesani e molto sfacciatamente chiedemmo loro dei soldi in prestito. Ci diedero cinque lire. Quei soldi potevano servirci per pagare il traghetto e passare a Messina dove sarebbe stato più facile trovare un imbarco per l’Africa, ma l’appetito ci attanagliava lo stomaco, così entrammo in una bottega dove comprammo alcuni panini imbottiti. Ci rifocillammo e la traversata dello stretto la rinviammo a dopo.     
       Passando davanti ad un negozio di ferramenta, Spartaco entrò dicendomi di attenderlo, e poi uscì tenendo intorno al braccio un rotolo di fil di ferro. Gli chiesi a cosa gli servisse e mi rispose che lui era bravo a costruire gabbie e che in Africa ci sarebbero stati uccelletti rari, ed ecco l’utilità delle gabbie.
      Ma l’Africa la vedevamo sempre più lontana, i soldi erano finiti, la traversata dello stretto una pura illusione. Errammo ancora un po’ per la città, verso mezzanotte vedemmo un caffè aperto con alcuni tavolini e sedie all’esterno. Ci sedemmo a un tavolo per riposarci e subito un anziano cameriere venne a chiederci cosa desiderassimo. Rispose Spartaco un po’ piagnucolando “Potete prestarci una coperta?” il cameriere rimase un istante inebetito, poi ci rifece la domanda. La risposta fu identica e lui di rimando disse “Ma questo è un bar, non un negozio di tessuti” Poi, rimasto qualche istante pensieroso, ci disse con atteggiamento amichevole di attendere la chiusura del bar.
      Alla chiusura del locale infatti ci venne incontro e con fare paterno ci chiese come mai ci trovassimo in quella circostanza. Io allora gli raccontai della partenza di mio padre per l’Africa e che desideravo incontrarlo prima che si imbarcasse, ma senza confessare il vero progetto. Egli si commosse e ci invitò ad andare a casa sua ché ci avrebbe ospitato per quella notte. A casa sua, trovammo due ragazzi pressappoco della nostra età ai quali ci presentò. Dai loro discorsi intuimmo che la madre era separata dal marito e che lui sperava in un suo ravvedimento. Si notava che era un uomo infelice ma dotato di molta speranza.
      Prepararono in tavola un po’ di broccoli freddi, che certamente erano rimasti da mezzogiorno, un poco di salsiccia cotta, pane e qualche frutta. Un po’ rifocillati, ci condussero in una stanzetta con due lettini che sicuramente erano quelli dei due ragazzi i quali per l’occasione dormirono con il padre.
     Al mattino seguente il padrone di casa ci preparò un po’ di caffelatte con del pane e con fare paterno quell’uomo gentile ci raccomandò di rientrare a casa dove certamente i nostri genitori sarebbero stati in ansia. Con mille ringraziamenti a lui e ai suoi figli ci separammo e ricominciammo a girovagare per la città, ormai decisi a rientrare a casa senza medaglie e senza gloria, Spartaco con il suo fil di ferro per riprendere la costruzione delle gabbie per uccelletti.
     Pensammo di rivolgerci alla Questura per farci rimpatriare ma una guardia un po’ annoiata ci disse di ritornare più tardi perché al momento il capo era assente. Riprendemmo a gironzolare e come sempre succede nelle imprese mal riuscite, una volta finito l’entusiasmo, anche l’amicizia un po’ si incrinò e ognuno di noi in cuor suo pensava che fosse colpa dell’altro se tutto si era concluso con uno scacco.
     In ogni modo alla fine decidemmo di rientrare a casa a piedi. Non era cosa da poco papparci  in tal modo sessanta chilometri, ma non vedevamo altra soluzione.
    Così partimmo alla volta di Brancaleone camminando ad andatura sostenuta. Poi cominciammo a correre. Dopo un po’ di tempo mi venne un forte dolore alla milza e fui costretto a fermarmi pregando il mio compagno di attendermi. Lui non volle ascoltarmi e continuò a correre. Lo vidi allontanarsi e poi lo persi di vista. Calmatosi il dolore ripresi a correre con la speranza di raggiungerlo, ma niente. Così, un po’ al passo e un po’ correndo, giunsi a Melito Porto Salvo.
     Fortuna volle che, traversando la città mi imbattei in un mio cugino al quale raccontai di mio padre ma nascosi il vero motivo della mia andata a Reggio, perché la verità mi avrebbe fatto apparire ridicolo. Lui probabilmente si commosse un poco e mi portò a casa sua. La moglie, sentendo di mio padre imbarcato per l’Africa, si rattristò moltissimo.
     Prepararono la cena ma io mangiai pochissimo sia per la stanchezza sia per l’ansia che avevo di tornare a casa. Ad ogni costo volevano che mi riposassi un po’, ma io insistetti minacciando di ripartire a piedi. A questo punto mio cugino si dispose ad accompagnarmi.
     Questo mi calmò alquanto anche perché fra l’altro, avevo la preoccupazione che Spartaco arrivasse prima di me, e sicuramente mia madre si sarebbe spaventata ancor di più non vedendomi. Arrivare alla stazione fu un martirio, avevo le gambe irrigidite e doloranti, ma con grande sforzo vi giunsi e mio cugino mi comprò il biglietto.
     Quando arrivai al mio paese, scendendo dal treno, vidi mia madre all’ingresso della stazione attorniata da alcuni ragazzi i quali probabilmente da alcuni giorni formavano questo capannello all’arrivo dei treni provenienti da Reggio per godersi la scena del mio rientro e potermi in seguito sfottere... Ma mia madre mi venne incontro e mi abbracciò senza dire una parola.
     Da quel carosello di curiosi che mi aspettava per sfottermi, partì un applauso, alcuni sghignazzavano e se la ridevano tra di loro.
     Queste cose mi lasciarono indifferente, ero refrattario a tutto e non vedevo l’ora di andare a casa e mettermi a letto.
     Dormii quasi ventiquattrore e le gesta di eroismo della guerra d’Africa non le sognai neppure. Spartaco arrivò il giorno dopo accompagnato dalla questura. Inutile dire che evitammo per qualche tempo di incontrarci, probabilmente per evitare di parlare di qualcosa in cui eravamo falliti tutt'e due.



28 commenti:

  1. Molto bella la presentazione del libro di Antonino Martelli che narra il tgipo di storia vera da me preferita.
    Grazie Nina.
    Un caro saluto,
    aldo.

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    1. Caro Aldo, è un po' ciò che penso di fare anche con le tue storie, racconti di fantasia ma pieni anch'essi di vita e verità.
      Ci sto lavorando...
      ciao e buona domenica

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  2. Era un po' che non aprivo il tuo blog, così ho avuto la bella sorpresa di questo racconto, che se anche conosciuto, l'ho riletto con piacere e tanta nostalgia di Ninì, sempre ironico e simpatico.
    Ma quanti anni aveva in questo racconto? Credo non più di dodici, tredici. Mi è piaciuta anche sua mamma, zia Carmeluzza, che senza fare scene, nè scenate, ha abbracciato suo figlio con tanto amore e tanta dignità. Ciao a presto.

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    1. ciao Teresa, ha colpito molto anche me quel gesto così inaspettato della mamma che lo abbraccia senza parlare. Anche lei era una donna speciale, come tante nella nostra famiglia...

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  3. Ho dimenticato di chiederti ieri qualcosa sull'incontro di venderdì 22 con Zio Scriba ed il suo libo QUATTRO SOLI A MOTORE.
    Ciao,
    aldo.

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  4. E' stato un bell'incontro e un vero piacere conoscere Nicola di persona. Ho fatto delle riprese con la telecamera e quanto prima ne metterò una sintesi sul blog

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  5. Chiedo scusa, ma oggi ho preferito deliziarmi con un altro racconto (sempre della Nina Edizioni). S'intitola "La fujtina", ed io voglio molto bene a chi l'ha scritto e me l'ha regalato... :)
    Un abbraccio.

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  6. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  7. Nicola, l'altra sera a Padova è stato bello.
    Oltre ad incontrare lo splendido scrittore che già ammiravo, e raccogliere la sua dedica preziosa, ho conosciuto una persona che è speciale come mi immaginavo che fosse, solo ancora un po' più dolce.
    P.S.: La Nina Edizioni è lusingata dell'attenzione e ricambia l'abbraccio.
    P.P.S.: Anche mio marito, che mi aveva accompagnato lì solo per cortesia, sta ora leggendo il tuo libro ...

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  8. Nina, anch'io ho lasciato un messaggio a NICOLA,alias ZIO SCRIBA, dopo aver letto il suo libro, ma ha tanti amici, che forse il mio non l'ha visto.
    Sei stata fortunata a conoscerlo. Ciao un bacio.

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  9. Sì che l'h lett, ho visto che ti ha anche risposto!

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  10. Sono storie ricche ed appassionanti, complimenti all'autore! A te un abbraccio.

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  11. Ciao Nina t'ho scritto una mail, ma forse non l'hai ricevuta,cmq. la mia è
    rosyferri@gmail.com

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  12. Oh nina, sai che è bello?!
    sa fare a raccontare, non si smetterebbe di leggere,
    aspetti di sapre cosa c'è scritto nella riga dopo,
    è come bere a gargamella, non smetteresti mai.
    Ciao.

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  13. Oh Massimo, grazie!
    a nome dell'autore (e dell'editore).
    Anche per me è un pezzo notevole, per la capacita di Ninì di catturare con una narrazione avvincente che sa delineare con brevi tratti anche la psicologia dei personnaggi.
    Ciao

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  14. Cara la mia dolce Nina...peccato che la mia testa non riesca per benino a registrare il tutto dato il momento...perchè ho trovato sia la prefazione che il racconto veramente cinematografici...
    Si, proprio un film alla Salvatores...bellissimo di questa nostra povera Italia, ricca di eroi, e di burattini senza fili....
    Si può trovare in biblioteca o è nelle librerie?
    Per riprendere il tutto devo allenarmi con qualche libro per l'infanzia , perchè la mia mente è molto instabile...
    Ti voglio bene!

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  15. Cara Nella, grazie di essere riuscita a passare di qua in questo momento così difficile per te. Lo apprezzo e spero che questo racconto ti abbia regalato un sorriso.
    Sai che nella presentazione avevo scritto che c'era nelle memorie di Ninì materiale per almeno 10 film?
    Non credo che si trovi in libreria, forse la moglie ne ha ancora qualche copia. Mi informerò.
    Ti stringo forte, cara Nella e ti dico: coraggio! Ti voglio bene anch'io! A presto

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  16. Veramente interessante,grazie per la presentazione,auguri cara Nina,un abbraccio.

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  17. ciao Achab, grazie degli auguri e dell'attenzione.
    Un caro saluto

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  18. Rileggo queste pagine da te,e le trovo sempre sorprendenti,per la piacevolezza del racconto,un po scansonato ma vero,come vera ed avventurosa è stata la vita del protagonsta.
    Hai fatto bene a proporlo ,con una interessante e bella presentazione .
    Avevo già lasciato il commento ma forse si è perso.
    Ciao Nina e a presto.

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  19. Ed io... come posso fare per avere questo libro?
    E'uno scenario che si sta ripetendo, anche se con modalità e motivazioni diverse. Qualche giovane entusiasta, spinto dall'idea di difendere il proprio Paese dal "terrorismo internazionale", lo vedo partire dal mio paese in "missione di pace".
    Tristemente la storia si ripete.

    Bellissimo scritto, e bravissimo Ninì.
    Un abbraccio a Te.

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  20. Cara Francy, semplicemente bentornata!
    Mi mancavi davvero e sono felice di ritrovarti.
    Non so se ce ne sono ancora alcune copie del libro in giro. Farò un'indagine. In ogni caso mi riprometto di quando in quando di pubblicarne i pezzi più belli, a mio giudizio.
    Un caro abbraccio!

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  21. Chicchina,
    i pezzi dell'infanzia e della prima giovinezza sono a mio parere i più belli, perché più freschi e ricchi di atmosfera.
    Sono felice del gradimento registrato in questo blog per l'autore e penso che sia un bel modo per ricordare quella persona straordinaria che era Ninì.
    Ciao e a presto

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  22. Nina non posso leggere il tablet non so usarlo bene per ingrandire i caratter ma li leggero' con calma. Ti lascio una margherita da campo un bacio e buon primavera:-)

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  23. Non preoccuparti, lo leggerai più avanti. Grazie, come hai fatto a indovinare che la margherita è il mio fiore preferito?
    Beh, non c'è da meravigliarsi, ho già capito che ci intendiamo al volo!
    E io ti mando una rosa ed un abbraccio forte forte
    Nina

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  24. Hai mai pensato concretamente di intraprendere una carriera editoriale?
    Nell'Inkazzo Periodiko c'era già il mio futuro di umorista e di scrittore.
    Forse nella Nina Edizioni c'era un futuro da editrice... :D
    Un abbraccio grande.

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  25. Sì caro Nick, ci ho pensato e ci penso. Anzi con Giulia, mia figlia, abbiamo progettato di metterci assieme e pubblicare libri artistici.
    Io sono un correttore di bozze implacabile e lei un'ottima disegnatrice, potremmo dedicarci a una piccola produzione di libri con le sue illustrazioni. Tutto ciò tra un po', quando avrò più tempo libero.
    Intanto mi esercito: sto preparando una raccolta di racconti di un amico comune che spero di concludere a breve.
    Ciao e se divento famosa come editrice tienimi presente...
    à beintot

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